ActionAid: dal 2018 in Sardegna solo 59 donne in uscita dalla violenza hanno ricevuto il reddito di libertà

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Le donne in uscita da Centri antiviolenza e Case Rifugio vivono un percorso accidentato, fatto di ostacoli e difficoltà, che le espone a estrema vulnerabilità socioeconomica e al rischio di ricadere nella spirale della violenza. L’allontanamento dalla casa familiare per motivi di sicurezza o perché di proprietà del maltrattante; la mancanza o la sospensione temporanea del lavoro per ricevere cure e supporto, l’impossibilità di disporre dei propri soldi perché sotto il controllo del convivente. Sono queste le necessità impellenti delle donne che hanno subito violenza a cui troppo spesso lo Stato non risponde a causa di politiche frammentarie, incoerenti e fondi stanziati insufficienti a coprire le richieste di supporto per avere un reddito certo, alloggio sicuro e lavoro dignitoso.  
La Sardegna è stata la prima Regione ad adottare nel 2018 una misura di sostegno al reddito specificatamente rivolta a donne in fuoriuscita dalla violenza, denominata “Reddito di libertà”, prevedendo un sussidio mensile di 780 euro, incrementabile in presenza di minori e in presenza di disabilità di uno o più componenti del nucleo, erogato per massimo 3 anni, a fronte dell’impegno a partecipare a un progetto personalizzato per l’autonomia economica. Per accedere è necessaria la certificazione dei servizi sociali del comune di residenza dello status di “vittima di violenza” della donna richiedente. Nel periodo 2018-2022, 108 donne hanno presentato domanda per la misura, solo 59 ne hanno beneficiato. Si tratta di un numero contenuto se si considera che le denunce per motivi di violenza registrate sul territorio sardo nel 2020 sono state 638 e che circa la metà delle donne accolte dalle strutture antiviolenza di D.i.Re era disoccupata e in condizioni economiche vulnerabili. Dalla sua istituzione ad oggi per la sua attuazione sono stati stanziati circa 2,7 milioni di euro. Risorse che non riescono a coprire il fabbisogno reale.  

Negli anni lo strumento è stato migliorato attraverso la collaborazione dei CAV sardi, ma restano modalità di erogazione “discriminanti”: per accedere alla misura bisogna essere in grado di anticipare il denaro. Il meccanismo amministrativo prevede, infatti, la liquidazione del contributo a fronte della presentazione della rendicontazione delle spese sostenute, ad eccezione della prima tranche. Si tratta di una richiesta che però, in alcuni casi, costringe la donna a rinunciare a presentare domanda a causa proprio dell’indisponibilità economica di partenza. 

È quanto denuncia ActionAid con il report “Diritti in bilico”, l’analisi delle politiche e delle risorse nazionali e regionali a sostegno delle donne, attraverso focus group, workshop e interviste che hanno coinvolto circa 100 rappresentanti di strutture di accoglienza, servizi territoriali ed enti pubblici per donne in fuoriuscita dalla violenza. Per il periodo 2015-2022, le istituzioni hanno stanziato circa 157 milioni, ovvero 54 euro circa al mese per ogni donna non autonoma economicamente per fornirle un supporto al reddito, promuoverne il re/inserimento lavorativo, garantire una casa sicura e sostenibile nel lungo periodo. Fondi scarsi che dovrebbero sostenere le donne, che spesso non riescono a produrre una dichiarazione Isee separata da quella del maltrattante e accedere a misure contro la povertà (reddito di cittadinanza, reddito di dignità) o di supporto alle famiglie in difficoltà (es. bonus affitto, bollette).  

“Per vivere una vita libere dalla violenza le donne hanno bisogno di un reddito sufficiente una casa sicura, un lavoro dignitoso e servizi pubblici funzionanti: diritti fondamentali che le istituzioni italiane non sono in grado di garantire a tutte e in tutti i territori. Il rischio è di far tornare le donne, spesso con figlie e figli, dagli autori di violenza, vanificando il loro percorso verso l’autonomia. Quanto tempo ancora le migliaia e migliaia di donne che hanno subito violenza dovranno aspettare prima di poter beneficiare di politiche e servizi strutturali che rispondano alle loro esigenze? Al Governo chiediamo per l’ennesima volta di adottare politiche integrate e strutturali coinvolgendo tutti i Ministeri e gli uffici competenti” dichiara Isabella Orfano, esperta diritti delle donne di ActionAid. 

REDDITO, SOLO PER POCHE. Ogni anno sono circa 50mila le donne che si rivolgono ai centri antiviolenza. Nel 2020, le donne assistite dai CAV senza lavoro o risorse per rendersi autonome erano il 60,5%. E la quota sale al 70% tra le giovani dai 18 a 29 anni, le più precarie. Ma gli strumenti adottati dall’Italia per supportare economicamente e finanziariamente le donne sono pochi, frammentari e inadeguati. Il “Reddito di libertà”, istituito nel maggio 2020 con il DL Rilancio dopo i lockdown imposti dal Covid-19, oggi è uno strumento per l’indipendenza economica delle donne in condizioni di povertà che hanno subito violenza. Si tratta di un supporto di 400 euro al mese per massimo 12 mesi. Il RdL è finanziato con 12 milioni di euro per il periodo 2020-2022: nel primo anno solo 600 donne ne hanno beneficiato a fronte delle 3.283 richieste presentate (dati Inps). Con questi fondi si calcola che solo 2.500 donne potranno avere accesso alla misura. Tuttavia, sarebbero circa 21 mila all’anno le donne che ne avrebbero necessità (elaborazione Dati Istat). “Finiti questi soldi si è comunque ripresentato il problema perché non ha potuto più pagare l’affitto ed è dovuta tornare sui suoi passi” racconta una Operatrice CAV. 

LAVORO“Con 6 o 12 mesi di borsa lavoro a 500 euro. Che tipo di svolta vuoi dare a queste donne?” spiega un’Operatrice CAV. A livello nazionale non esiste nessuna norma riguardante il re/inserimento lavorativo che prenda in considerazione le specifiche esigenze delle donne in fuoriuscita dalla violenza, cioè i carichi di cura familiari, la precarietà economica, le difficoltà di spostamento o la mancanza di accesso a servizi come asili e nidi. Le misure sono pensate e finanziate da ciascuna Regione in modo diverso attraverso percorsi di formazione professionale, tirocini, borse lavoro, attività di avvio all’autoimprenditorialità. Un quadro che amplifica lo squilibrio territoriale italiano e le diseguaglianze di accesso alle opportunità per le donne, il divario tra grandi città e i piccoli centri. Per la partecipazione delle donne che hanno subito violenza al mercato del lavoro, le istituzioni nazionali e regionali hanno stanziato circa 124 milioni di euro dal 2015 a oggi: il 72% (89,2 milioni) per interventi di mantenimento dell’occupazione e il restante 28% (34,8) per quelli di re/inserimento lavorativo, sebbene il numero di donne disoccupate accolte dalle strutture antiviolenza nel 2020 sia del 50%. Nel 2015, per il mantenimento dell’occupazione, è stato attivato il congedo indennizzato per vittime di violenza, per cui sono stanziati in media circa 12 milioni annui. Dalla sua introduzione ad oggi, è stato registrato un aumento delle domande presentate del 2.662% (da 50 nel 2016 a 1.331 nel 2021), a cui non è seguita una crescita delle domande accolte. Nel 2021, infatti, solo il 32% delle domande presentate è stato accettato (432 a fronte delle 1.331).  

CASA“Spesso i tempi si allungano non perché le donne non siano pronte a uscire dal centro, ma perché non sono in grado di accumulare risorse che gli consentano di pagare una caparra o un trasloco” rivela un’Operatrice CAV. Le donne che hanno subito violenza hanno una probabilità quattro volte superiore rispetto alle donne in generale di vivere situazioni di disagio abitativo. Chi deve ricostruire la propria vita spesso ha difficoltà nel pagamento dell’affitto o della rata del mutuo, è costretta a traslochi frequenti, subisce sfratti o si trova a dover vivere in alloggi sovraffollati, insieme ai figli.  

Per promuovere l’autonomia abitativa delle donne in fuoriuscita dalla violenza, le istituzioni nazionali e regionali hanno stanziato per il periodo 2015-2022 12 milioni di euro, di cui 9,3 milioni da risorse nazionali e 1,8 da quelle regionali. Le risorse sono state spese principalmente per erogare contributi economici alle donne per la copertura di caparre, canoni d’affitto e pagamento di utenze. Si tratta di interventi insufficienti per risorse e tempi di erogazione che non tengono conto della necessità di offrire strumenti per il raggiungimento di un’indipendenza abitativa sostenibile e di lungo periodo.  

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