Carlo Mazzone in ESCLUSIVA: Totti, Toni e i grandi ex festeggiano Carletto (VIDEO)

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Allenatore, padre e un nonno speciale, quello che tutti vorrebbero. Il 19 marzo, un segno del destino, nel giorno in cui il mondo celebra la festa del papà Carlo Mazzone compie 85 anni. Lo è stato per tanti calciatori, ne ha valorizzato il talento (Totti e Pirlo), lasciando un segno concreto nell’anima di chi lo ha conosciuto.

Con quel suo accento romanesco, inconfondibile, e quella schiettezza, che a volte poteva spiazzare, l’ex allenatore della Roma, tra le altre, ha segnato un’epoca e ancora oggi rappresenta un vero e proprio esempio calcistico per tanti colleghi che intraprendono questo mestiere. Un uomo senza filtri, ad avercene oggi, e un amore incondizionato per i suoi calciatori, una guida, un punto di riferimento.

Se le cose migliori sono quelle naturali, le più vere ed autentiche, voler bene ad un uomo come Mazzone è senz’altro una di queste. Parlare con i suoi ex calciatori e suo nipote Alessio Lancianese è stata un’esperienza incredibile e veramente sentita, per chi come noi ammirava dalla tv le gesta di questo allenatore esemplare. Tutti loro sono riusciti a trasportarci nel suo mondo genuino. Un’icona per il mondo del calcio, nel suo lavoro ha dato importanza all’aspetto umano, sapendo che, alimentandolo, avrebbe ottenuto il massimo dai suoi ragazzi. Quello dell’allenatore di calcio è stato in fondo un ruolo marginale: amorerispetto e l’essere riuscito a migliorare la vita degli altri costituiscono le sue vittorie più belle.

Tutta la redazione di Football News 24 si ritiene fortunata ed orgogliosa di aver avuto la fortuna di scambiare due parole con il mister dei mister. E’ stato un vero piacere aver potuto scoprire, anche dalla voce emozionata di Alessio, racconti ed aneddoti riguardanti la carriera sportiva e la vita attuale, da nonno, di un allenatore unico nel suo genere. Un traguardo, quello degli 85 anni, raggiunto con tanta ammirazione da parte di tutti i tifosi, dei suoi cari ed anche da parte dei suoi ex calciatori, che hanno fatto letteralmente a gara per contribuire a rendere ancora più bello questo giorno. Un fiume di testimonianze, all’unisono, hanno confermato tutto quello che di meraviglioso Mazzone ha fatto per il calcio italiano e per i diretti interessati.

La sua grande carriera d’allenatore ebbe inizio da Ascoli, sotto la guida del mitico presidente Costantino Rozzi, che le affidò inizialmente la panchina delle giovanili e poi quella della prima squadra. Che ricordo ha di questa persona?

Costantino Rozzi è stato fondamentale per la mia vita, la persona più importante della mia carriera. Quando giocavo ad Ascolimi feci male rompendomi tibia e perone ed a quel punto la mia avventura da calciatore venne interrotta in maniera brusca. Da quel momento in poi iniziarono le mie vicissitudini da allenatore nelle giovanili dell’AscoliRozzi all’epoca mi diede spesso l’opportunità di sedere sulla panchina ascolana ed ogni volta che succedeva le cose andavano bene. Di conseguenza mi affidò la panchina della prima squadra in maniera continuativa e con il presidente feci una sorta di patto”.

“Io in quel periodo non stavo lavorando, ero già sposato ed avevo figli e per avere una sorta di ancora di salvataggio chiesi a Rozzi di poter lavorare nella sua azienda nel caso fosse andata male come allenatore. Le cose per fortuna andarono bene e riuscì a fare tre promozioni dirette dalla Serie C alla Serie A, riuscendo anche a salvare la squadra nel primo anno nella massima serie. Rozzi era una persona fantasticaschiettaveragenuinaeducata e rispettosa. Molte persone ancora oggi lo ricordano con grandissima emozione ed anche io come sento quel nome mi commuovo”.

Dal 1993 al 1996 ci furono i tre anni con la Roma, nei quali fece esordire Francesco Totti. Lei è entrato nel cuore dei tifosi giallorossi, che ancora oggi la amano follemente. Cosa ha rappresentato per lei quell’ambiente? 

Quando sento il nome Roma mi brillano gli occhi, ricordando il grande presidente Franco Sensi e quei 3 anni bellissimi trascorsi sulla panchina. Io da romano e tifoso romanista ho avuto la possibilità di giocare per i giallorossi e poi di allenare la squadra, una delle gioie più grandi della mia vita. In quegli anni ci fu anche l’esordio di Francesco Totti. La prima volta che lo convocai chiamai anche altri tre-quattro ragazzi della Primavera per depistare la stampa e proteggere il suo nome, provando a far passare inosservata la sua convocazione. Per me Francesco è stato ed è un figlio, ho avuto tanti campioni e tanti calciatori, ed ognuno di loro è stato come un figlio per me.

Ho cercato durante gli anni di provargli a dare insegnamenti soprattutto fuori dal campo, perchè in una piazza come quella di Roma era molto importante. Mi ricordo che quando Totti finiva gli allenamenti usciva con i capelli bagnati con il motorino ed io gli dicevo di lasciarlo perdere e di fare attenzione. In alcune occasioni andai a parlare direttamente con la madre di Francesco dicendo alla signora che il figlio aveva grandi potenzialità e che noi avremmo dovuto avere un occhio di riguardo per lui. Adesso i tempi sono decisamente cambiati e questo difficilmente potrebbe accadere”.

Nel 2000 venne chiamato alla guida del Brescia e grazie alla sua presenza arrivò Roberto Baggio. In quella squadra c’era anche un giovanissimo Andrea Pirlo e la sua decisione di spostarlo da mezza punta a regista di centrocampo, cambiò per sempre la carriera del ragazzo. Come nacque questa idea? 

Mi ricordo che Andrea Pirlo arrivò dall’Inter ed avendo già Baggioin quel ruolo gli dissi di provare da regista durante un’amichevole, con la promessa che se non gli fosse piaciuta quella nuova posizione in campo avremmo fatto in maniera differente. Andrea durante quella gara fece molto bene e da quel momento in poi quello rimase il suo ruolo. A Brescia sono stati anni bellissimi con il grande presidente Luigi Corioni che mi diede la possibilità di acquistare Roberto Baggioche si allenava nei campetti vicino casa“.

Ricordo della famosa clausola legata a me, nel senso che in caso di mia partenza da Brescia, Roberto sarebbe stato libero di andarsene. Quando seppi del suo arrivo ufficiale entrai nello spogliatoio e scrissi il suo nome su un foglio dicendo: “Qui c’è il nome di un vostro nuovo compagno, lui farà quello che vorrà, perchè è un fenomeno ed un campione”. Mi dispiace solamente che nel 2002 non andò al Mondiale, perchè se lo sarebbe meritato. Quel Brescia era veramente una squadra fantastica, c’erano i vari: Luca ToniGuardiola, i gemelli FilippiniBoneraIgli TarePetruzziCaloriDainelliSereni e tanti altri”.

Nel 2019 è stato inserito nella Hall of Fame del calcio italiano, insieme a tecnici del calibro di Lippi, Sacchi, Trapattoni, Capello, Ancelotti e Mancini. Cosa ha rappresentato quel premio per lei e per la sua carriera?

Quello è stato un traguardo bellissimo ed un premio gradito che dedico a tutti i tifosi che ho avuto. Loro sono la parte più bella e saranno sempre la parte meravigliosa di questo sport. Adesso tramite i social mi arrivano tanti messaggi ed attestati di stima da parte di tifosi da tutta Italia che mi ricordano con tanto affetto“. 

Segue ancora le squadre che ha allenato?

Seguo sempre la Roma, così come tutte le mie ex squadre: AscoliLecceBolognaBresciaCagliariPerugiaLivorno e poi non mi perdo una partita del Manchester City di Guardiola. Sono tutte squadre alle quali auguro il meglio e spero che vincano sempre”.

Gli aneddoti e le curiosità sul mister Mazzone continuano grazie ai racconti di suo nipote Alessio, che ci ha aperto la stanza dei suoi personali ricordi.

Devo dire che nonno è sempre lo stesso. Mi ricordo che quando allenava non “saltava” un lunedì in famiglia, anche se giocava lontano, come ad esempio a Catanzaro oppure a Milano. Lui si faceva quelle cinque-sei ore di macchina, anche di notte, per stare in famiglia. Certamente è la cosa più importante, tra l’altro adesso è anche bisnonno di Cristian che ha 5 anni e vedo nei suoi occhi la vera felicità. Per lui una cena a tavola è una cosa sacra, in quel caso ci dobbiamo alzare tutti insieme, ha insegnato a tutti noi che cosa sono l’educazione ed il rispetto, che purtroppo in questo mondo mancano. Il Mazzone di oggi non si perde nemmeno una partitale guardiamo e le commentiamo insieme, soprattutto le sue ex squadre; segue molto Guardiola, anche perchè il tecnico spagnolo è riuscito a far vedere un tipo di calcio unico e diverso da tutti gli altri allenatori. Spesso si chiede come sia possibile che un’allenatore così possa venire criticato“.

E com’è essere il nipote di uno dei personaggi più iconici del calcio italiano?

Nonno era veramente apprezzato e stimato da tutti. Mi ricordo che andai a Milano a vedere l’addio di Pirlo al calcio e durante quella serata c’erano tantissimi campioni. Nel dopo gara andammo al Just Cavalli e lì erano presenti tra i tanti: De Rossi, Bonera, Verratti, Vieri e molti altri. Tutti quanti, come venivano a conoscenza che ero il nipote di Mazzonesi fermavano a parlare con me e mi parlavano estasiati di nonno. De Rossi mi disse che da piccolo, quando faceva il raccattapalle all’Olimpico, aveva il suo poster in camera. Tutto questo è fantastico ed io stesso, quando parlo di lui, mi emoziono, se chiudo gli occhi e penso a chi è mio nonno mi vengono i brividiQuando la gente sente che sono il nipote mi guarda con occhi buoni, pensando a nonno. Questa ve la devo raccontare assolutamente: mi trovavo a San Benedetto del Tronto, davanti ad un locale insieme ad alcuni miei amici. Improvvisamente si avvicinano dei ragazzi, palesemente più grandi di noi, e si dirigono proprio verso di me. Uno di loro mi chiese se fossi Alessio Lancianese, il nipote di Mazzone, ed io chiesi il perchè. La risposta fu che erano di Bergamo ed a quel punto sinceramente mi spaventai, temendo un aggressione a causa di quel famoso Brescia-Atalanta. Invece questo ragazzo mi volle abbracciare dicendomi che avevo un nonno fantastico e soprattutto una persona che si faceva rispettare”.

Succede ancora di ricevere manifestazioni d’affetto da parte dei tifosi?

“Mi ricordo l’ultima volta che venne a Roma, passeggiavamo per il centro e sembrava che passasse il Papa, per tutte le persone che ci fermavano. Devo dire che la maggior parte di loro erano della Lazio e dicevano a mio nonno che nonostante fossero laziali gli volevano bene e si congratulavano con lui; non vi nascondo che mio nonno si commosse davanti a tutte queste testimonianze di affetto che provenivano anche dai suoi rivali calcistici storici. Lo stesso Francesco Totti dice che ringrazierà mio nonno per sempre, per tutto quello che ha fatto per lui. Anche io una volta ebbi la fortuna di incontrarlo dopo una partita della Roma in Champions League e mi ricordo che gli brillavano gli occhi dopo aver saputo chi fossi; lui mi abbracciò, dicendomi che nonno gli mancava moltissimo e che lo ringraziava per tutta la vita; tutto questo con le lacrime”.

E con Guardiola? 

“Vi racconto anche un aneddoto che riguarda l’allenatore del Manchester City. Mi trovavo a casa di mio nonno e stavamo giocando a carte. Improvvisamente squillò il telefono e andai direttamente io a rispondere: “Pronto, qui è casa Mazzone” e dall’altra parte della cornetta: “Salve sono Pep Guardiola, sto cercando Mazzone“. Io rimasi a bocca aperta, pensando ad uno scherzo, però mi sembrava di aver riconosciuto la voce dello spagnolo. Andai da nonno e gli dissi che c’era Guardiola al telefono. Nonno prese la cornetta e sentì: “Mister sono Pep Guardiola“, e lui: “Si, ed io sono Garibaldi. Fu un episodio troppo divertente che ancora oggi ricordo con immensa gioia ed ilarità. Dopo aver capito che non si trattava di uno scherzo, si scusò con il suo ex giocatore, che lo invitò allo stadio ad assistere alla finale di Champions League che il Barcellona avrebbe disputato contro il Manchester UnitedNonno rimase stupito nel sentire che Guardiola, tre giorni prima della gara, avesse pensato a lui; apprezzò moltissimo quel gesto, tanto che andò insieme ad Edoardo Piovani ad assistere al match”.

Piovani che anch’esso rappresenta una persona importante per Mazzone, giusto?

“Esatto, è molto legato a lui. Anche io lo sento spesso, ci facciamo gli auguri telefonicamente e quando viene a trovarci passiamo tanto tempo insieme. Tutti noi della famiglia gli vogliamo un bene dell’anima. Ritornando a Pep Guardiola, mi ricordo che ai tempi del Bayern Monaco ci invitò, durante il ritiro, a Desenzano del Garda, per assistere alla gara amichevole tra i bavaresi ed il Brescia. Nonno in quel caso non riuscì a venire e da parte sua ci andai io insieme alla mia famiglia. In quell’occasione ho avuto il piacere e l’onore di conoscere Pep e sembrava di parlare con una persona che conoscevo da sempre. Vi garantisco che lui, per tutto il tempo, ha parlato di nonno, con un’emozione incredibile che traspariva dagli occhi”.

La grandezza assoluta di Carlo Mazzone era ed è sotto gli occhi di tutti e questi racconti ed aneddoti ne sono un’ennesima conferma. Si ha la percezione di trovarsi di fronte ad un uomo unico e d’altri tempi, ad un nonno ed un padre fondamentale nella crescita della famiglia e ad un allenatore all’avanguardia. In merito abbiamo raccolto numerose testimonianze da parte di suoi ex calciatori e componenti del suo staff, correlati da consistenti episodi divertenti accaduti durante la sua lunga e gloriosa carriera.

Alessandro Calori

Sono stato tre anni con Mazzone, un anno a Perugia e due a Brescia. Ho sempre avuto un grande rapporto con lui. Me lo ricordo come una persona obiettiva verso i propri giocatori e soprattutto guai a chi li toccava. Il mister si definiva una brava persona ed a modo suo diceva sempre la verità. Il suo lato simpatico era sotto gli occhi di tutti e mi viene in mente un episodio in particolare. Una volta dovevamo giocare a Lecce e Mazzone stava scendendo le scale con una gamba sola, mentre saltellava. Io che mi trovavo dietro di lui, chiesi: “Mister, ma cosa sta facendo? E lui: Ahò, non te li fai mai li c×××  tua??

“Ricordo anche il martedì, durante la riunione tecnica, le sue sfuriate nei confronti di chi aveva sbagliato durante la partita. Diciamo che a chi toccava si doveva fare il segno della croce, perché il mister sentenziava in maniera diretta e senza giri di parole. Nella partita tra il Perugia e Juventus, la gara nella quale segnai e feci vincere lo scudetto alla Lazio, ricordo che Mazzone fece un’intervista nel post partita nella quale disse: “Ahò per fare vincere il campionato ai laziali, ci voleva il romanista”.

Alessandro Melli

Ho avuto Mazzone per un solo anno a Perugia. Quello fu un campionato particolare, diventato storico, perché vincemmo con la Juventus e permettemmo alla Lazio di vincere lo scudetto. Il mister è una persona diretta, schietta e molto sincera, uno di quelli: pane al pane e vino al vino; quello che doveva dire lo diceva, diciamo che non aveva molti filtri. Ricorderò sempre di lui un episodio accaduto nel prepartita di quel Perugia-JuventusEravamo in ritiro la domenica mattina ed un politico, pseudo parente dell’allora compagna del presidente Gauccisi permise durante il post pranzo di dire a Mazzone di stare attento, perché buona parte dei giocatori si vendeva le partite. Il mister in quel momento si trovava al bar e ricordo che divenne nero dalla rabbia; iniziò a spingerlo lontano e urlò che i venduti erano le persone come lui. Tutti noi calciatori apprezzammo tantissimo quel gesto, perché oltre a difenderci aveva protetto la nostra categoria. Fu strano vedere un omone del genere spingere ed urlare in faccia ad un semi sconosciuto, ma per noi fu una cosa molto gradita”.

Fabio Rossitto

Mazzone arrivò a Napoli ed il suo percorso durò solamente un mese. Durante quel pochissimo tempo ebbi la possibilità di conoscere un tipo di persona che purtroppo nel calcio d’oggi non esiste più. Si trattava di un uomo puro che sapeva entrarti dentro. Mi rimase impresso, durante il ritiro, che non voleva che uscissimo dalle camere per andare a fare colazione. Solitamente era il contrario, tutti gli allenatori davano degli orari e volevano che la colazione si facesse tutti insieme. Invece lui ci diceva sempre che non ci dovevamo stancare, perché poi in campo avremmo dovuto dare tutto. Il messaggio velato era che voleva che stessimo bene e voleva darci la massima importanza. Per questo esempio, e per tanti altri, la gestione del giocatore era eccezionale. Lui in questo modo ci insegnò che la cosa importante era saper prendere a livello mentale i ragazzi, era un vero e proprio maestro. Mi ricordo anche che prima della gara passava nello spogliatoio con le maglie e le dava lui personalmente in mano ad ognuno di noi; ogni volta ci diceva sempre: “Tieni, riportamela sudata!. Devo dire che ho visto fare delle cose a lui che non è mai più capitato di rivedere”.

Fabio Petruzzi

“Il mister per me è stato un secondo padre, una persona importantissima che mi ha fatto crescere come calciatore, ma soprattutto umanamente. Una persona splendida, meravigliosache dall’esterno può sembrare tosta e dura. Un uomo schietto e sincero che diceva in faccia tutto quanto e nel mondo di oggi non è facile; io con lui inizialmente ebbi anche degli scontri. Nel 1994 rientravo a Roma dall’Udinese e fisicamente ero a pezzi, perchè avevo avuto l’ernia del disco e proprio per questo motivo ad Udine avevo giocato poco e niente. Tornando a Roma trovai Mazzone e d’impatto mi mise soggezione, più che altro perché lo vedevo come un sergente di ferro. Andammo in ritiro e, dopo aver effettuato alcuni test, ci divise in gruppi in base alle condizioni fisiche. Io ovviamente venni inserito nell’ultimo gruppo, quello con i portieri, proprio perchè fisicamente stavo a pezzi, il mister mi spronava anche con parole forti ed all’epoca, a causa della mia giovane età, lo vedevo come un qualcosa che mi poteva far male. Oggi, a distanza di anni, non posso che ringraziarlo, perché ho capito che voleva spingermi con decisione a tirar fuori caratterialmente quel qualcosa in più. Tornando in città, dopo il ritiro, non sapevo ancora se sarei rimasto oppure se sarei andato a giocare in Serie B o C. Roma dovevamo fare l’amichevole per la presentazione della squadra all’Olimpico con il Valencia. Un dirigente mi disse che Mazzone aveva parlato bene di me e che mi avrebbe voluto giudicare durante la partita. Ebbi la comunicazione che avrei cominciato dalla panchina e di conseguenza dissi a Totti di andare ad allenarci nello stanzino dello stadio, nel quale si poteva giocare anche a calcio tennis. Solitamente ricordo che chi non partiva dall’inizio scendeva di sotto e andava a riscaldarsi in quel modo. La sfortuna volle che appoggiando il piede a terra si girò la caviglia e mi feci male“.

“Andai dal medico Alicicco e gli dissi che non ce la facevo nemmeno a mettere lo scarpino e lui mi disse di non dire niente e di andare in campo. Nel frattempo arrivò Mazzone e chiese cosa stesse accadendo. A quel punto il medico gli disse che mi ero fatto male alla caviglia giocando a calcio tennis e lui si arrabbiò di brutto; dalla sua bocca uscì di tutto e di più. Devo ammettere però che da quel momento cambiò tutto e tra noi si instaurò un rapporto di ammirazione e stima reciproca. Dopo circa un mese da quell’episodio stavo per firmare per l’Avellino, visto che i titolari erano AnnoniLannaed Aldair e si giocava con la difesa a 3. Improvvisamente si fece male Annoni ed il mister mi diede la chance all’Olimpico per Roma-Cagliari, gara in posticipo serale ai tempi su Telepiù. Mi ricordo che Mazzone venne da me, mi diede la maglia numero quattro e mi disse: “Io non faccio il lattaro, se ti do la maglia significa che ci puoi stare. Da quel momento iniziò la mia carriera, feci un’ottima gara e da lì giocai sempre. Alla fine dell’anno arrivò anche la convocazione da parte di Sacchi in nazionale. Tutto questo racconto è per ringraziare Mazzone, perché è grazie a lui se ho avuto la carriera che ho fatto. Ho un’ammirazione immensa per questo uomo, gli voglio bene, come voglio bene alla moglie; sono persone splendide. Quando lui andò a Brescia mi chiamò, io in quel periodo avevo ancora due anni di contratto con la Roma, ma avevo problemi con Capello. Non esitai un attimo anche se sapevo di lasciare la Roma, la mia città e la famiglia”.

A Brescia feci tre anni meravigliosi con lui, mi chiamò anche a Bologna ed anche in quel caso andai di corsa. Da diversi anni non ci siamo più visti e mi dispiace perché gli voglio un bene dell’anima e gli faccio tanti auguri di cuore. Aggiungo anche che Mazzone è stato uno dei più grandi allenatori italiani. Spesso è stato etichettato come difensivista, ma solamente perché ha sempre allenato squadre che dovevano salvarsi, tranne la Roma. Era molto preparato e le sue squadre giocavano a calcio e non è un caso che gente come TottiBaggio e Guardiola lo ammirino molto. Proprio Guardiola elogiava sempre il mister anche sul lato tecnico per il possesso palla che richiedeva. Secondo me ha avuto meno di quello che meritava sul campo, è stato anche il primo allenatore a fare giocare la linea difensiva a 3. Con la Roma c’era Moriero a destra, che era un’ala, a sinistra Amedeo Carboni, che faceva tutta la fascia, ed al centro c’erano Giannini e Cappioli. Davanti avevamo: BalboFonseca e Totti; era una squadra molto offensiva e propositiva ed ho visto tutt’altro che un allenatore difensivista”.

Francesco Moriero

Mazzone quando venne a Lecce mi fece esordire in Coppa italia contro la Juventus. Io facevo parte della Primavera e ricordo che quella partita si giocava a Ferragosto. Ero al mare ed a ridosso della gara si fece male un giocatore. Il mister mi convocò in fretta e furia e andai in ritiro pensando al massimo di poter andare in panchina. Incontrai Mazzone per la prima volta in albergo vicino all’ascensore e sinceramente mi fece impressione per lo sguardo intenso che aveva. Il mister mi vide intimorito e mi disse: “A ragazzì sei emozionato? No mister, perché dovrei esserlo?“, pensando appunto di andare solamente in panchina. E lui: “Tanto non me ne frega un c×××, oggi giochi. Questo fu il mio primo impatto con Mazzone, da quel giorno mi diede la maglia e non l’ho più tolta. Mi ricordo anche il mio primo gol al Via del Mare contro il Messina in Serie B. Quella gara non dovevo assolutamente giocarla, perché il sabato in ritiro avevo avuto un attacco di appendicite. Ricordo che mi portarono all’ospedale con il dottore Palaia e tornai in albergo durante la notte. Mazzone il giorno dopo, durante il pranzo mentre lo guardavo per cercare di attirare la sua attenzione, mi disse: “Non mi guardare, perché stai male e non giochi”. A quel punto io risposi: “Se mi fa giocare faccio gol”, e così fu, segnai e lo andai ad abbracciare. Da quella volta ad ogni mio gol, sia a Lecce che a Cagliari, lo andavo ad abbracciare e questo successe anche con l’Atalanta per il mio primo gol in Serie A“.

“Per me Mazzone è stato un padre, mi portò anche in ritiro insieme a lui in Serie B. Stavamo in albergo da soli, io avevo 17 anni e mi insegnò a vivere da professionista. Facevamo colazione, pranzo e cena insieme ed alle 21 dovevo andare a letto. Il mister mi volle anche a Cagliari e mi ricordo che Cellino mi voleva fare il contratto a 5 milioni di lire a gol, però Mazzone glielo vietò dicendo: “ No presidente, glielo faccia ad assist, altrimenti questo tira sempre in porta”. Il risultato fu che quell’anno feci 22 assist. Ho avuto Mazzone per sei anni ed ho tanti episodi che mi legano a lui. Ricordo anche a Roma per esempio che prendeva le magliette e le dava in mano e quando arrivava il mio turno, dandomi la numero sette, mi diceva sempre: “Ahò, ricordati chi ha avuto sta maglia (Bruno Conti) e vedi quello che devi fare”.

“Quando giocavo nell’Inter  feci l’esordio a Parma in Nazionale segnando due gol. A fine gara lo intervistarono e disse: “Si, sono contento per il ragazzino (io sono sempre stato un ragazzino per lui), però deve imparare a fare anche il biglietto del treno di ritorno”, riferito al fatto che spingevo moltissimo senza riuscire a fare la fase difensiva con la stessa intensità. Mazzone mi stimolava anche a difendere ed all’epoca giocava con il 3-4-1-2, dicendomi sempre di fare da bandierina a bandierina; io inoltre ero l’unico in Italia in quel periodo a fare il tornante. Mi ricordo a Lecce con i primi soldi mi volevo comprare una macchina e lui mi diceva di metterli da parte, di pensare alla famiglia e di non badare alle cose materiali. Avevo comunque deciso di comprare un auto e lui mi disse: “A regazzì, se un giorno dovessi trovare i finestrini rotti non ti domandare chi è stato, sono stato io”.

Non ho mai capito perché venisse definito come un allenatore difensivista, in realtà lui faceva giocare i calciatori più bravi ed offensivi che aveva. A Cagliari oltre a me c’erano Francescoli ed Oliveira. A Roma eravamo io, CappioliGianniniBalboFonseca e Totti. Mi ricordo inoltre che era molto bravo a stimolarci. Nella settimana del mio primo derby a Roma prendeva gli articoli dei giornali e li attaccava alla porta degli spogliatoi. In quel periodo la Lazio di Zeman andava molto bene, c’erano sempre i confronti con le pagelle e noi della Roma avevamo dei voti più bassi. Vincemmo quella partita per tre a zero e lui andò a festeggiare di corsa sotto la Curva Sud. La stessa cosa la fece anche a Lecce contro il Torino, nello scontro salvezza. La stampa del nord durante quella settimana ci declassò e noi vincemmo per tre ad uno riuscendo a salvarci. Posso affermare tranquillamente che Mazzone durante la partita non riconosceva più nessuno”.

Gennaro Ruotolo

Ho avuto Mazzone solamente pochi mesi a Livorno. Fin da subito, nonostante fosse subentrato, è riuscito a mettere nelle condizioni migliori la squadra, soprattutto a livello mentale. Ha messo a disposizione la sua esperienza, il suo modo di fare, di lavorare e di agire. Non abbiamo avuto molto tempo per stare insieme, ma ho potuto conoscere una persona straordinaria, che cercava il dialogo dando tanta importanza all’aspetto umano. Il suo modo di parlare e di porsi era molto piacevole. Mi ricordo che Mazzone dava molto spazio anche ai suoi collaboratori, soprattutto al suo vice Scarafoni. Molte volte lasciava dirigere l’allenamento a loro, dando spazio ed importanza a tutti quanti. A volte era come se volesse mettersi in disparte, però ripeto che a livello umano metteva tutti nelle condizioni migliori per fare bene a calcio”.

Luigi Garzya

Se ho fatto e continuo a fare questo lavoro è grazie a lui. Il vero allenatore che mi ha lanciato a Lecce è stato Carlo, che poi ho ritrovato anche a Roma; ricordo che prima di lui c’era CarlosBianchi ed ebbi la fortuna di riaverlo nel mio ultimo anno a RomaMazzone era una persona buona ed è stato il primo allenatore al quale ho visto fare i regali di Natale sia ai giocatori che alle rispettive mogli, l’unico nella mia carriera, si trattava di un vero signore. Mi ha insegnato molto, dallo stare in campo, alla concentrazione, a volte anche in maniera brusca, perché era il suo modo, si incazzava tanto, era sanguigno. Le cose le diceva in faccia e nell’ambito calcistico non è così scontato. Mazzone è stato quello più preparato in assoluto“.

“Dall’esterno probabilmente veniva giudicato in maniera diversa, perché magari lo si vedeva senza cravatta e con quel modo di fare particolare, ed invece è stato uno di quelli più all’avanguardia e moderni in campo. Noi calciatori eravamo talmente preparati che dovevamo pensare solamente a giocare ed a svolgere le cose che ci aveva detto; era veramente minuzioso ed attentissimo su tutto. Una volta ricordo che arrivò quasi ad attaccarmi al muro durante la fine di un primo tempo e lui scherzando mi diceva sempre: “Garzì, te faccio smette e te faccio tornà in Primavera”. Carlo era perfettamente in grado di dare il bastone e la carota“.

Massimiliano Cappioli

Ho avuto sempre un grande rapporto con il mister,  a lui ho dato tanto ed ho ricevuto altrettanto. Mazzone è un vero intenditore di calcio, che dava la possibilità a tutti di esprimersi. Era un grande esperto di giovani, capiva quando si trovava di fronte un ragazzo con tutte le qualità per arrivare in alto, ma in ogni caso dava visibilità anche a quelli meno braviNon aveva peli sulla lingua diceva le cose in faccia. L’aneddoto che mi ricordo maggiormente è quello relativo al derby vinto per tre a zero. La settimana prima, ogni giorno, attaccava gli articoli dei giornali sulla porta, senza mai entrare nello spogliatoio. Ricordo che arrivava, bussava e ci diceva: “Questo è quello che dicono di voi, vedete quello che potete fare”. Quella domenica fu un massacro, 0 a 3, stupendo e bellissimo”.

“Mi ricordo anche durante una partita quando ad un difensore chiese: “Ma te quanti gol hai fatto in Serie A?”. La risposta fu: “3”, e Mazzone: “E allora che c×××  vai a fa in attacco, torna in difesa”. Io per la prima volta l’ho avuto a Cagliari, mi ricordo che mi ruppi il ginocchio e non giocai per tante partite. Mi trovavo a Roma perché stavo facendo la fisioterapia, ci fu l’esonero di Giacomini ed al suo posto chiamarono Mazzone. All’epoca ancora non conoscevo il mister e lui ad un giornale disse che, a causa del mio infortunio, gli mancava il 50% della sua squadra. Quella dichiarazione mi lasciò basito e da lì in poi ho sempre avuto uno splendido rapporto con Carlo. Diciamo che spesso lo facevo arrabbiare, però ho fatto tanti gol importanti per lui”.

Leonardo Menichini

Nel 1991 allenavo il Riccione e Mazzone mi chiese di collaborarecon lui al Cagliari. Salvammo quella squadra e l’anno successivo ci qualificammo per l’allora Coppa Uefa. Nel 1993 Franco Sensi divennepresidente della Roma ed il suo primo allenatore fu proprio Carlo. In quegli anni nella capitale abbiamo lanciato un sacco di giovani, Tottisu tutti. Il mister in fatto di giovani se ne intendeva, visto che poi a Brescia inventò Pirlo regista davanti alla difesa.  Ricordo con piacere anche le stagioni di Bologna, nelle quali facemmo un grande calcio, con il raggiungimento della semifinale di Coppa Italia e quella di Coppa Uefa con il Marsiglia. Non riuscimmo ad arrivare in finale solamente per il gol preso in casa (1-1) mentre in Francia la partita finì 0 a 0. In quegli anni giocavamo già con un modulo moderno, con giocatori tecnicamente validi. Mazzone diceva sempre: “In mezzo al campo è come guidare nel traffico, quindi devi saper giocare”.

“Sugli esterni voleva calciatori che correvano, ma al centro del campo amava la tecnica, come quella che avevano Pirlo e Giannini; Carlo voleva sviluppare il gioco a tutti i costi. Vi racconto anche di Guardiola, che era il primo anno che giocava in Italia ed arrivando a Brescia pensava di trovare una realtà diversa, diciamo più da squadra provinciale. Mi ricordo le serate che facevamo nel ritiro a Coccaglio a parlare di calcio e già si capiva che sarebbe diventato un grande allenatore. Pep rimase favorevolmente impressionato perchè facevamo un calcio di matrice spagnola, fatto di possesso palla e circolazione. L’attuale allenatore del Manchester City dedicò a Mazzone anche una Champions League, quella vinta con il suo Barcellona contro il Manchester United“.

“Posso testimoniare in maniera diretta che, in quattordici anni che ho collaborato con lui, non ha mai lavorato sulla fase difensivaA Carlo piaceva allenare dal centrocampo in su. Mi ricordo che ci dividevamo i compiti ed a me assegnava sempre quelli della difesa. A lui piaceva fare il possesso palla, gli scambi, i tiri e le situazioni di gioco offensive. Il suo motto era: “La tattica è il pane dei poveri, la tecnica è il pane dei ricchi”.

Carlo ha sempre scelto giocatori di qualità, come ad esempio: Roberto Baggio a BresciaSignori e Kennet Andersson a BolognaFrancescoli ed Oliveira a Cagliari e Fonseca e Balbo a Roma. Inoltre devo dire che ha sempre giocato con gli esterni offensivi, come Moriero che poi arrivò anche in nazionale. Le critiche a Carlo sul fatto di essere difensivista non le comprendo. Quando diverse volte è capitato di subentrare in corsa ci siamo trovati ad avere una squadra costruita da altre persone, con una rosa già allestita ed un lavoro già impostato. In quei casi abbiamo cercato di trovare rimedi opportuni per arrivare alla salvezza ed ovviare alle difficoltà oggettive del momento. Chiaramente in quelle occasioni c’era la necessità di fare legna, piuttosto che lo spettacolo, però in quei casi è stato importante aver raggiunto gli obiettivi finali“.

Il ricordo di quel Brescia – Atalanta è ancora nitido. Perdevamo tre ad uno, dopo essere passati in vantaggio. Inutile ricordare la grande rivalità tra le due tifoserie e durante la partita i bergamaschi offesero pesantemente lui e la famigliaMazzone, al gol del tre a due, si girò verso la curva ospite e disse: “Se facciamo il tre a tre vengo là sotto. Al gol del pareggio abbiamo visto scattare il mister, ma sinceramente tutti pensavamo che al massimo potesse fare dieci metri e poi tornasse indietro. Invece è partito e sia io che Piovani abbiamo cercato di prenderlo in tutti i modi per fargli evitare la squalifica, ma ormai era “lanciato”. Devo dire che quel gesto è stato ampiamente giustificato per le tutte le ingiurie ricevute durante la partita”.

“Mi ricordo che Collina lo buttò fuori e Mazzone disse che aveva ragione, purtroppo in certi momenti può capitare ed è stata una corsa istintiva. Quell’episodio non toglie nulla alla carriera splendida. Io attraverso di voi torno a ringraziarlo e sono veramente grato per tutto quello che mi ha insegnato, sia sportivamente, ma soprattutto come palestra di vita. Lo ringrazio sotto il profilo umano ed ancora un grazie da parte mia e di tutta la mia famiglia”.

Massimiliano Esposito

Ho avuto il mister sia a Perugia che a Brescia, mentre a Napoli non ci siamo incrociati. Lui è sempre stato un allenatore di grandi valori umani, quelli che purtroppo mancano oggi. Per me è stato un maestro e lo porto sempre come esempio; Mazzone è un tecnico sempre attuale ed alla moda. A noi calciatori ci diceva sempre: “Se avete un problema ditemelo che lo risolviamo insieme, se non parlate significa che non ci sono problemi”. Fuori dal campo ci lasciava liberi, perché sapeva che aveva a che fare con uomini veri, però in campo voleva il massimo. Ricordo la storia con i cani che è diventata una sorta di barzelletta“.

“Solitamente al Brescia, nel campo dove ci allenavamo, alcuni miei ex compagni portavano i loro cani; uno di questi per esempio era il grande Vittorio Mero. Un giorno un mio compagno portò il cane al campo d’allenamento e Mazzone disse: “Ahò, di chi è sto cane, mica siamo al canile, portatelo via”. Quel giorno in campo non c’era Roberto Baggio che dunque non vide la scena. Roby, nemmeno a farlo apposta il giorno dopo, portò i suoi due cani da caccia ed accadde la stessa scena. Mazzone direttamente dalla scalinata della tribuna disse: “Ahò, ma che me state a prende per il culo? Di chi sono sti cani? Qualcuno disse: “Mister, sono di Baggio, e la sua risposta fu: “Ah, se sono di Roby famoli giocà, damoje du biscottini”.

Massimo Paganin

Ho avuto Mazzone a Bologna e quella fu una stagione importante nella quale raggiungemmo la semifinale di Coppa Italiae quella di Coppa Uefa. Sempre in quella stagione, grazie alla vittoria nello spareggio con l’Inter, abbiamo raggiunto anche la qualificazione alla Coppa Uefa. Il mister fece molto bene e fu bravissimo perchè arrivò subito dopo Renzo Ulivieri e fu eccezionale nella gestione del gruppo, riuscendo ad amalgamare bene la squadra. Nel primo anno attorno al suo nome c’era molto scetticismo, ma lui è stato bravo a gestire il gruppo, riuscendo a far in modo che i giocatori fossero liberi di pensare autonomamente e di poter crescere. Io durante i primi mesi mi feci male, fu un infortunio importante all’adduttore ed agli obliqui degli addominali, che mi tenne fermo per tre mesi e mezzo”.

La squadra andò avanti con risultati importanti e quando sono rientrato ho avuto la possibilità di inserirmi in un gruppo molto coeso. Mazzone come persona non era assolutamente da discutere, è stato un padre per tutti noi. Aveva dei modi “spicci”, pane al pane e vino al vino ed inoltre era onesto, sincero e non nascondeva nulla a nessuno. Io ero in campo in quel famoso Brescia-Atalanta, con la maglia dei bergamaschi e devo dire che quella reazione fu genuina. Nel tempo abbiamo avuto modo di riconciliarci, perché lui mi diede del professorino e da padre diciamo che mi tirò le orecchie e mi ripreseMazzone è stato un grande personaggio per il calcio italiano, una figura importante che ha dato tanto. Un uomo non costruito ed è sempre stato molto apprezzato dai calciatori proprio per questo motivo. Devo dire che ho giocato poco con lui, anche perché faceva giocare Giovanni Bia al mio posto, però il rispetto nei confronti della persona non è mai mancato”.

Mauro Bressan

Ho avuto Carlo Mazzone nel 1996 quando subentrò al tecnico uruguaiano Gregorio Perez. Il mister ci diede una grande mano ma purtroppo non riuscimmo a salvarci. Mi ricordo che perdemmo in casa alla penultima giornata con la Sampdoria e fummo costretti a vincere a tutti i costi a San Siro con il Milan. Quella vittoria ci permise di giocare lo spareggio con il Piacenza a Napoli, ma purtroppo perdemmo per tre ad uno. Quegli otto mesi ho vissuto un personaggio atipico, molto caratteristico e diverso da tutti gli altri allenatori che ho avuto.  Aneddoti? Mi ricordo che nell’ultima partita che vincemmo a San Siro con il Milan eravamo contenti perché avevamo raggiunto lo spareggio e diciamo che c’era un mezzo festeggiamento. Francesco Cozza esultava al centro del campo e Mazzone gli diede un ceffone da dietro dicendo: “Ahò, non avemo vinto niente”. Inoltre ricordo il giorno che si presentò e ci disse: “Mi conoscete così durante la settimana, poi la domenica mando in campo mi fratello, quindi state attenti a quello che fate”. Il mister mi ha trasmesso tanti insegnamenti, soprattutto quello di essere protagonisti in campo dicendo sempre: “C’è differenza tra giocare la partita e fare la partita, dobbiamo essere protagonisti e non subire gli avversari”. Il suo romanesco inoltre lo rendeva unico nel suo genere, lo metto al pari di Fatih Terim per quello che concerne il carisma, lui trasmetteva molto anche senza troppi giri di parole”.

Igor Protti

Ho avuto Mazzone solamente un mese come allenatore. Mi ricordo che uno dei suoi motti era:  difensore scivoloso, difensore pericoloso. Lui infatti quando vedeva il difensore entrare in scivolata si arrabbiava, perchè era sempre a rischio fallo da rigore. Un’altra cosa che mi ricordo fu appena arrivò, che giocammo a Roma contro la Lazio in Coppa Italia. All’epoca non c’era l’area tecnica e quindi l’allenatore si poteva muovere liberamente. Io, ogni volta che mi giravo verso la panchina, lo trovavo ovunque, avrà fatto dieci chilometri. Mi ricordo che perdemmo ed il giorno dopo ci disse: “A regà, mo basta scherzà, io ieri stavo al quaranta%“. Proprio perchè come ti dicevo aveva fatto un sacco di chilometri ed era in grado anche di farne di più”.

Christian Amoroso

Ho tanti aneddoti che riguardano il mister Mazzone. Quello che mi viene in mente è accaduto l’anno in cui a Bologna avevamo in squadra Nakata. Mi ricordo che il giapponese aveva portato con sè un fisioterapista dal Giappone di nome TakaMazzone, nella partita in questione, non era molto contento della prova del ragazzo, che non sembrava seguire i suoi suggerimenti. Il mister allora si avvicinò a Taka ed in romanesco gli chiese: “A Taka, me dici come se dice mò m’hai rotto li c×× ×  in giapponese? Detto di questo aneddoto, una cosa che mi piaceva molto del mister era che volesse fare la partita anche contro le grandi squadre, esigendo tra l’altro un grande possesso palla”.

Nicola Amoruso

Sono arrivato a Perugia a campionato già iniziato nella stagione 1999-2000, con Gaucci e MazzoneIl mister era un uomo straordinario sotto tutti i punti di vista, una persona ideale e sincera che riusciva a gestire il gruppo come pochi. Ho sempre avuto un bel rapporto con lui e mi lega un ricordo molto affettuoso, credo come tutti quelli allenati da lui. Mazzone aveva la capacità di farsi rispettaree far sentire tutti partecipe, non faceva sconti a nessuno e questo gli veniva riconosciuto. Sicuramente stiamo parlando di un uomo d’altri tempi che ha fatto la storia del calcio italiano, un personaggio unico. Mi ricordo le litigate con Gaucci che arrivava nello spogliatoio nell’intervallo, con il presidente che voleva dire la sua, ma Mazzone lo mandava letteralmente fuori dalla porta; era un uomo che si faceva rispettare e non permetteva nemmeno ad un presidente così vulcanico ed esuberante di andare oltre”.

Pietro Paolo Virdis

Ho conosciuto Mazzone a Lecce, avevo già 32 anni e quindi non ho potuto dare il meglio di me a Carletto. Nonostante questo è stata una bella esperienza ed un bell’incontro, ci siamo subito capiti. Con lui si lavorava molto bene, in maniera rilassata e diciamo che era capace di stimolare nella maniera giusta anche un 32enne come me. Io l’ho avuto un anno, ci siamo salvati e fu una bella stagione. Ricordo che l’anno successivo arrivò Boniek e retrocedemmo. Sia io che Mazzone eravamo molto competitivi, quindi una volta capitò di avere una discussione animata, però poi ci siamo subito chiariti. Quel suo Lecce era una squadra che giocava in maniera offensiva, con due punte (Pasculli e Paciocco) più l’argentino Barbas che era un regista-trequartista e qualche giovane tipo Francesco Moriero; giocavamo assolutamente per creare calcio”.

Gianluca Pagliuca

Faccio tanti auguri al mister per i suoi 85 anni, portati benissimo, e gli auguro tanta gioia e felicità. Mazzone è stato molto importante per me, nei due anni che abbiamo fatto insieme. Ricordo la prima volta che lui venne a Bologna, nel 1985, quando ero ragazzino e mi disse: “Ragazzì, vedi di mangiare meno, perchè hai delle qualità, ma se magni non diventerai mai un’atleta ed un calciatore”.Queste parole sono sempre dentro di me e voglio fare ancora un ringraziamento straordinario al mister che è speciale, abbraccio idealmente lui e la sua famiglia, ancora buon compleanno!”.

Luca Toni

Faccio tanti tanti auguri a mister Mazzone. Con lui ho trascorso due anni stupendi, e gli devo dire grazie, perchè se sono diventato campione del mondo il merito è anche suo. Mi ha dato tanto dal punto di vista umano e tecnico, ma soprattutto sotto il profilo umano. Il mister è stato un uomo eccezionale, volevo partecipare anche io agli auguri e mandargli idealmente un grande abbraccio. Forza mister!”.

Francesco Totti

Faccio tanti auguri al grande mister per i suoi 85 anni, mamma mia ahò, beato a te! Un grande abbraccio, un bacione e speriamo di vederci presto”.

Stefano Bettarini

Volevo unirmi anche io a tutti coloro i quali fanno gli auguri a mister Mazzone, per questo traguardo importante. Poi vorrei sapere dove si firma per prendere spunto. Ricordo sempre la sua frase: “Palla in sù, Gesù pensaci tu“. E ricordo ancora quando mi diceva che in Serie B ci volevano gambe e testa e invece in Serie A testa e gambe, sarebbe bello sapere se ancora pensa questo del nostro calcio. Lo ricordo sempre con affetto, un saluto ed un abbraccio forte“.

Dario Dainelli

Ho tantissimi aneddoti sul mister Mazzone, oltre a quello del cane di Baggio che ormai è storia. Lui a volte era rude con i ragazzi giovani, più che altro la sua era una gestione vecchio stampo. Il mister cercava di formare in questo modo per vedere se i ragazzi riuscivano a reggere il confronto, anche per capire se avessero la personalità necessaria per stare a grandi livelli. Mi ricordo che c’era il mio ex compagno al Brescia Alejandro Correa che stava facendo l’ingresso in campo per il suo esordio in Serie A. Correa si trovava vicino a Mazzone a bordocampo ed il mister gli disse: “Vai, entra, ma non me sporcà il campo de cacca“.

“Un altro episodio ha riguardato Marco Pisano, anche lui faceva l’esordio in Serie A a Bologna. Durante la partita perse un contrasto, spalla a spalla, con Julio Cruz e l’attaccante argentino ci fece gol. Il martedì agli allenamenti mi trovavo con Pisano, si arrivava da una parte dello spogliatoio, non sapendo che dall’altra parte stava arrivando Mazzone. Il mister incrociandolo all’angolo gli fece: “Bù! C’è Cruz, te sei cacato sotto eh…”. Queste erano le “coccole” che il mister faceva ai ragazzi”.

“Un altro aneddoto molto divertente accadde durante un allenamento del Brescia a Coccaglio. Lì avevamo l’albergo attaccato al campo e Mazzone, che era molto freddoloso, guardava spesso gli allenamenti da fuori, lasciando spazio al suo secondo Menichini. In quell’occasione stava dentro l’albergo aldilà del vetro, praticamente era come se si trovasse in panchina a bordocampo. Io giocavo dalla parte dove c’era Mazzone e Menichini stava nelle vicinanze del fallo laterale. Ad un certo punto il mister aprì la porta-finestra e disse a Menichini: “Digli a Dainelli che avemo capito che è bravo, ma ora ha rotto il c×××  , e richiuse la porta”. Io ero lì a pochi metri e Mazzone lo avrebbe potuto dire direttamente a me; diciamo che il mister parlava anche in terza persona“.

Cristiano Lucarelli

Faccio tantissimi auguri al mister per il suo compleanno, un grande abbraccio ed un bacione”.

Fonte: https://footballnews24.it/carlo-mazzone-in-esclusiva-totti-luca-toni-e-i-grandi-ex-festeggiano-carletto-video/

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