Italia invasa dal riso cinese, a rischio migliaia di posti di lavoro

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E si, lo possiamo ben dire, l’Italia è invasa dal riso cinese, con l’aumento del 489% degli arrivi dal Vietnam  e di un buon 46% dalla Thailandia, mai così tanto riso straniero è arrivato in Italia come nel 2016.
E’ quanto emerge da una analisi della Coldiretti su dati Istat dalla quale si evidenzia che, nell’anno appena trascorso, è stato registrato un aumento del 21% delle importazioni che ha fatto scattare dodici allerte sanitarie da contaminazione per il riso e i prodotti a base di riso da Paesi extracomunitari in Europa secondo i dati del sistema di allarme rapido comunitario (RASFF). Le importazioni pericolose per la salute dei cittadini riguardano la presenza di residui antiparassitari, di aflatossine cancerogene o altre tossine oltre i limiti, infestazioni da insetti, livelli fuori norma di metalli pesanti o la presenza di Ogm proibiti in Italia e in Europa. I due terzi delle importazioni non pagano più dazi dopo l’introduzione da parte dell’UE del sistema tariffario agevolato per i Paesi che operano in regime EBA (Tutto tranne le armi) a dazio zero.

L’Italia  con i suoi 237mila ettari coltivati a riso è il primo produttore europeo con un ruolo ambientale insostituibile e opportunità occupazionali, ma questa situazione mette a rischio il lavoro di oltre diecimila famiglie tra dipendenti e imprenditori di lavoro nell’intera filiera. Le importazioni sconsiderate di riso lavorato Indica dall’Oriente stanno facendo crollare la produzione in Italia dove le semine si spostano sulla varietà japonica con gravi squilibri di mercato che spingono nello stato di crisi anche questo segmento produttivo. Come evidenzia la Coldiretti nel suo sito, il riso Made in Italy è una realtà più che valida per qualità, tipicità e sostenibilità che va difesa con l’obbligo di indicare in etichetta la provenienza, la pubblicità dei nomi delle industrie che utilizzano riso straniero e attraverso interventi comunitari tempestivi ed efficaci nei confronti delle importazioni incontrollate, che prevengano il rischio di perdite economiche per i nostri risicoltori e non agiscano quando i danni si sono già verificati. In tal senso, la clausola di salvaguardia, già rifiutata dalla Ue senza una quantificazione evidente dei danni, dovrebbe essere applicata con una procedura più efficace dall’Unione.

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