Pensioni. L’età minima aumenta a 67 anni ma l’aspettativa di vita è più bassa

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Il governo prepara un nuovo attacco sulle pensioni. I tecnici sono già al lavoro e la trappola è pronta a scattare subito dopo l’estate sotto forma di decreto con il quale l’esecutivo Gentiloni innalzerà a 67 anni l’età minima necessaria dai 66 e 7 mesi attuali. Non subito, ma dal 2019. Come sempre, il tutto viene giustificato

dall’aumento dell’aspettativa di vita. In effetti, è questo il meccanismo fissato dalla legge e – stando almeno a quel che dicono i tecnici dei ministeri di Economia e Lavoro e quelli di Palazzo Chigi – non lascia troppo spazio all’interpretazione. L’età della pensione è legata alla speranza di vita a 65 anni, cioè il tempo che in media resta da vivere una volta superata questa ormai fatidica soglia.

Pronto il decreto sulle pensioni: la misura scatterà dal 2019

Scendendo nel dettaglio, secondo i numeri in possesso dei tecnici del governo, l’aspettativa di vita dopo i 65 anni si sarebbe allungata per gli uomini siamo passati dai 18,6 anni del 2013 ai 19,1 anni del 2016 e da 22 a 24 anni per le donne. La conseguenza è l’ulteriore innalzamento dei requisiti previdenziali che già adesso fanno dell’Italia uno dei Paesi dove si va in pensione più tardi. A leggere una fonte solitamente bene informata come il Corriere della Sera, una volta passata l’estate, la manovra sulle pensioni potrebbe finire in un cassetto per necessità elettorali. Non la gradirebbero di certo i cittadini vicini alla pensione che se la vedrebbero sfuggire ancora una volta né, tantomeno, quelli che spingono per entrare finalmente del mondo del lavoro, il cui canale risulta però sempre ostruito dai vecchi che per godere del vitalizio devono diventare ancora più vecchi. Staremo a vedere.

Ma l’aumento della speranza di vita è “bufala” o realtà?

Ma il vero punto è un altro: siamo davvero sicuri che ci troviamo di fronte ad un aumento dell’aspettativa di vita, così come ci viene ormai raccontato da ogni parte? Il dubbio è più che legittimo se si considera che solo il 10 aprile scorso, il Rapporto Osservasalute pubblicato anche dall’agenzia Ansa ha certificato che nel 2015, in Italia, la speranza di vita alla nascita è più bassa di 0,2 anni negli uomini e di 0,4 anni nelle donne rispetto al 2014, attestandosi, rispettivamente, a 80,1 anni e a 84,6 anni. Non solo: aumenta il divario tra Nord e Sud dell’Italia rispetto alla salute dei cittadini. Secondo Osservasalute, al Sud, e in particolare in Campania, infatti, si muore di più ed il Sud dispone di minori risorse economiche, è gravato dalla scarsa disponibilità di servizi sanitari e di efficaci politiche di prevenzione. Morale: un governo serio dovrebbe occuparsi di come ridurre queste odiose diseguaglianze piuttosto che continuare a far allungare il collo a chi sogna pensioni dignitose e meritato riposo.

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3 thoughts on “Pensioni. L’età minima aumenta a 67 anni ma l’aspettativa di vita è più bassa

  1. Ma chi l’ha detto che in pensione occorra andarci da quasi morti? Se uno stipula un contratto con un privato questo è obbligato a rispettarlo; se uno ha stipulato un contratto, peraltro OBBLIGATORIO, con lo Stato, UN NUOVO CONTRATTO DIVERSO non dovrebbe valere solo per gli assunti da quel momento in poi, ammesso che ciò non sia una serequazione tra lavoratori? Invece ti cambiano unilateralmente, col voto di fiducia, il contratto in corso d’opera; IN UNO STATO DI DIRITTO. E, poi, chiamano, magari, il tuo ex diritto “PRIVILEGIO”.
    Il problema è che sarebbe ora che una legge separasse la PREVIDENZA, quella che i lavoratori si pagano mensilmente in busta paga, coi loro contributi per la “loro” pensione, dall’ASSISTENZA, quella che, negli altri Paesi, è pagata dalla fiscalità generale.
    Non c’è il rischio, altrimenti, che anche un eventuale REDDITO DI CITTADINANZA, per il quale non vengono pagati contributi, e quindi sarebbe assistenza, sia posto a carico dell’INPS?
    Chiaro che poi, se non si separano le due cose, PREVIDENZA E ASSISTENZA, l’INPS conincia a dire che non ci sono soldi! SE COI SOLDI DEI VERSAMENTI DEI LAVORATORI CI DEVE PAGARE PER QUELLI CHE NON VERSANO! Come alcuni recenti bonus.
    E, poi, per dare la pensione ai giovani, non ha senso tagliarla, o allungarla, agli anziani: i giovani occorre METTERLI IN GRADO DI LAVORARE, SERIAMENTE, A TEMPO INDETERMINATO E CON BUONI STIPENDI e relativi sostanziosi versamenti che permettano loro di avere una decente futura pensione.
    E, IL TFR, VA DATO SUBITO NON A TRANCHE E DOPO TANTI ANNI! COSI’ ERA QUANDO LO GESTIVA IL DATORE DI LAVORO.
    POI LA GESTIONE E’ PASSATA ALL’INPS, NEL 2007.

  2. Inoltre, io chiedo, che senso logico abbia, penalizzare i pensionandi con tre “cure” contemporanee:
    1) continue, nel tempo, in più volte, leggi per aumento dell’età pensionabile e/o degli anni di servizio;necessari al conseguimento della pensione; più
    2) PASSAGGIO DAL SISTEMA DI CALCOLO RETRIBUTIVO, EQUO, perché, se io dò ogni mese ANTICIPATI, per quaranta anni, i miei soldi allo Stato, come fanno banche e finanziarie quando erogano prestiti, qualcosa ci dovrò guadagnare, AL SISTEMA CONTRIBUTIVO, NON EQUO, perché restituisce solo quanto versato; o sbaglio? Più
    3) CONTEMPORANEO AUMENTO DELL’ETA’ PENSIONABILE, metodo malus malus (quando l’aspettativa di vita scende, peraltro, non viene abbassata l’età pensionabile) PER LA COSIDDETTA ASPETTATIVA DI VITA (come se uno dopo aver lavorato e versato una vita non dovesse far progetti per il meritato riposo ma, più che altro, quasi, per il riposo eterno; ma allora perché pago i contributi, se la pensione me la danno quando non mi reggo più in piedi e non riesco più che a pagarci una badante?).
    IL TUTTO E’ ASSURDO: SE IO HO UNA MALATTIA PER LA QUALE ESISTONO TRE CURE, IL MEDICO ME NE PRESCRIVERA’ UNA, NON TUTTE E TRE CONTEMPORANEAMENTE, ALTRIMENTI RISCHIA DI AMMAZZARMI!

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