Renzi vuole tre mesi per il referendum col placet di Berlusconi

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Nell’ultimo tormentone della politica nazionale – quale data per il referendum istituzionale? – la palla sta per tornare definitivamente al governo e l’enigma potrebbe sciogliersi nell’arco di 72 ore. Quasi certamente domani arriverà il via libera della Corte di Cassazione sulla validità delle firme raccolte per indire la consultazione e a quel punto il presidente del Consiglio sarebbe libero di annunciare la data del referendum, la cui determinazione per legge spetta al governo.

Assemblea Nazionale Confcooperative
boschi

E la normativa lascia ampi margini al governo, che può liberamente scegliere una domenica tra il 2 ottobre e l’11 dicembre. Quanto a Berlusconi, nessun contatto con Renzi e il suo entourage, ma un messaggio chiaro da Arcore: il Cavaliere ha bisogno di tempo per tornare in pista e per far insediare Stefano Parisi. Dunque, bene il 27 novembre o giù di lì. A dispetto del «se vince il No torno a casa» di qualche mese fa, ormai il premier ha sterzato di 180 gradi, ora si limita a dire che «trarrà le conseguenze» dal voto, senza specificare quali saranno e, soprattutto, senza più prefigurare per se stesso un futuro da privato cittadino.    Ma di tempo ha bisogno Renzi, anche perché si sta complicando la prospettiva della campagna referendaria: i capofila delle due correnti della minoranza Pd, Gianni Cuperlo e Roberto Speranza, fanno sapere che se non si cambia l’Italicum, l’intera minoranza potrebbe schierarsi per il No al referendum.   

Dice Speranza: «Se stasera entrassi in una macchina del tempo, e ne uscissi nel giorno in cui si vota il referendum, e tutto fosse ancora come oggi, non sarei in condizione di votare Sì».  

A loro e in controluce a Massimo D’Alema risponde la ministra Maria Elena Boschi: «Lasciatemi dire senza polemica che chi ci dice: `Se va male questa riforma perché votiamo no in sei mesi ce ne è un’altra pronta´, ha alle spalle trent’anni di insuccessi, che ci dimostrano che non è vero che bastano sei mesi per fare un’altra riforma costituzionale». 

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