Si conclude al Greenwich d’Essai in via Sassari 65A/67 la rassegna “Fra Guerra e Pace”, curata dal giornalista, regista e critico cinematografico Sergio Naitza e organizzata dall’Associazione Culturale La Settima Arte in collaborazione con la Regione Autonoma della Sardegna, la Società Umanitaria – Cineteca Sarda, Comunicare Agency ed Europa Cinemas.
L’ultima settimana di programmazione si apre lunedì 14 novembre alle ore 18,30 con la proiezione del film “Il segreto di Esma di Jasmila Zbanic (2006). Nella Sarajevo del dopoguerra la madre Esma nasconde un segreto alla figlia dodicenne: il padre non è un eroe di guerra, come lei crede, la verità purtroppo è atroce. Storia di amore, sofferenza, redenzione familiare, in un’ottica femminile, che squarcia il velo su un odioso crimine di guerra: lo stupro etnico. L’esordio alla regia di Jasmila Zbanic non è un film sulla guerra ma, piuttosto, la storia delle sue devastanti conseguenze emotive, e del modo di sfuggire ad esse. È un film che racconta una guerra che supera il processo di pace, e del conflitto, silenzioso e personale, tra il tentativo di dimenticare ciò che è indimenticabile e il negare quello che, per guarire, andrebbe detto a voce alta. Il tema delle torture sistematiche e degli stupri nel corso della guerra dei Balcani, negli anni ’90, viene proposto attraverso un racconto femminile e transgenerazionale, che è anche il ritratto della società bosniaca nel dopo-guerra. Il realismo dell’opera tocca anche il mondo fuori dalle pareti domestiche, come un melodramma familiare che si apre ad uno sguardo più ampio sull’intero panorama post-bellico in Bosnia. Le strade di Sarajevo, le scuole e i bar vengono ripresi senza glamour, con la macchina da presa che cattura le cicatrici dei dintorni della città. La vita quotidiana della gente locale è altrettanto forte: la gente è obbligata a fare più di un lavoro per sbarcare il lunario, lavori per i quali è, il più delle volte, troppo qualificata. La Zbanic filma questa eredità di distruzione e la trasferisce nei dialoghi di vecchie e nuove generazioni, che sembrano costantemente possedute da fantasmi. Per chi è riuscito a ricostruire la propria vita oltre le delusioni e la vergogna, la verità è il percorso verso la rigenerazione. È, però, compito dei giovani ‘orfani’ guidare il più ampio processo di speranza. Amare i figli degli stupri bellici è, dopo tutto, amare le nuove generazioni.
Secondo appuntamento della settimana ed ultimo dell’intera rassegna, giovedì 17 Novembre, sempre alle ore 18,30, con il film “Guerra e pace” di Massimo D’Anolfi e Martina Parenti (2020), introdotto in sala da Antonello Zanda, direttore del Centro Servizi Culturali della Società Umanitaria – Cineteca Sarda di Cagliari, giornalista, scrittore e critico. L’opera racconta l’ultracentenaria relazione tra cinema e guerra, dal loro primo incontro, nel lontano 1911, in occasione dell’invasione italiana in Libia, fino ai giorni nostri. Dalle sequenze filmate dai pionieri del cinema alle odierne riprese girate con gli smartphone dai cittadini del mondo, il passo appare brevissimo e la relazione tra cinema e guerra solidissima. Guerra e pace è una riflessione sulle immagini e, come in un grande romanzo scandito in quattro capitoli – passato remoto, passato prossimo, presente e futuro –, prova a ricomporre i frammenti della memoria visiva dai primi del Novecento a oggi e mette in scena la moltiplicazione delle visioni che, come un costante rumore di fondo, accompagnano le nostre attuali esistenze. Raccontano i registi D’Anolfi e Parenti: “La prima intuizione di Guerra e pace è nata un giorno di fronte un’ambasciata italiana in una capitale straniera. Ci siamo domandati che funzione e che valore potessero avere ancora questi palazzi privilegiati e, più genericamente, quale fosse il senso dell’attività diplomatica in un mondo in cui la comunicazione e le notizie viaggiano a una velocità fuori da ogni controllo. Crediamo che oggi più che mai sia necessario ripensare agli strumenti che prevengono, limitano, contengono i conflitti in favore del dialogo tra uomini e istituzioni. Il cinema, fin dalle sue origini, ci mostra di aver avuto un legame fortissimo con la guerra più che con la pace, sia per lo spirito che ha attraversato la prima metà del secolo scorso, sia per l’intrinseca necessità di documentare gli eventi storici, sia per la reale difficoltà di filmare un processo di pace. Abbiamo dunque deciso di riflettere sulle immagini del passato e del presente non solo come strumento di guerra, ma anche come possibile strumento di pace.”