Tafofobia. La paura di essere sepolti vivi, tanta gente si risveglia durante il funerale

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Esiste pure la parola: tafofobia. Ovvero, la paura di risvegliarsi in una bara sotto due metri di terra dopo essere stato dichiarato erroneamente morto. Fino al secolo scorso una fobia piuttosto diffusa. C’era addirittura chi, come nel racconto di Edgar Allan Poe “The Premature Burial”, poi diventato un film di Roger Corman con Ray Milland, si faceva costruire una tomba dalla quale era possibile uscire. Già, perché, con una medicina meno progredita, capitava spesso che stati di catalessi o coma venissero diagnosticati come decessi. Alcuni andavano incontro a una fine orribile. Altri, più fortunati, si risvegliavano prima di finire in una cassa di legno. Sia pure meno sovente, succede ancora oggi.

L’ultimo caso è avvenuto in Perù la scorsa settimana. Un giovane, Watson Franklin Mandujano Doroteo, operato al canale radicale del dente, aveva iniziato a soffrire di febbre e brividi dopo l’intervento. Poco dopo sarebbe stato dichiarato morto dal medico, racconta l’Independent. Durante la camera ardente, però, alcuni parenti iniziarono a notare la cassa toracica del congiunto che si alzava e si abbassava. La corsa all’ospedale sarà inutile: il ragazzo morirà durante il trasporto. La morte presunta, spiegherà la famiglia, era dovuta alla dose da cavallo di benzodiazepine con la quale Watson era stato sedato.

Il web è pieno di storie recenti di persone destatesi durante le esequie. Alcune non sono verificabili e sono probabilmente bufale. Altre sono verissime. Come quella di Walter Williams, un settantanovenne statunitense che nel marzo 2014 si risvegliò nella sacca mortuaria e iniziò a scalciare di fronte agli imbalsamatori che stavano già preparando le lame per eviscerarlo. Williams sarebbe comunque morto un paio di settimane dopo, forse per la forte emozione. Due anni prima, in Egitto, un cameriere ventottenne ebbe un attacco di cuore a lavoro. Fu il medico che ne stilò il certificato di morte ad accorgersi che era ancora vivo, nel bel mezzo del funerale.

C’è poi chi si risveglia sul tavolo autoptico. Come Carlos Camejo, un venezuelano trentatreenne dichiarato defunto dopo un incidente stradale. Fu il bisturi del medico legale che ne incideva la faccia durante l’autopsia a risvegliarlo. La presunta vedova, giunta in lacrime all’obitorio per riconoscere il cadavere, si trovò di fronte il marito vivo e vegeto che la attendeva in corridoio.
Le ragioni delle dichiarazioni di morte errate possono essere le più disparate, spiega al Guardian l’anatomo-patologa Carla Valentine. Nel caso di Paul Mutora, il keniota che, quest’anno, fu ritenuto defunto dopo aver ingerito dell’insetticida per poi ridestarsi in obitorio, è ad esempio probabile che l’atropina somministratagli per salvarlo ne avesse rallentato il battito a un punto tale da farlo sembrare morto. Janina Kolkiewicz, la novantunenne polacca trovata apparentemente priva di vita dalla famiglia in casa, era presumibilmente finita in uno stato di ibernazione a causa delle temperature rigide.

“È un fenomeno molto raro”, cerca di rassicurare Valentine, “e per lo più i nostri sofisticati test medici fanno sì che non accada. E, come evidente dai casi di cui sopra, questi sventurati tendono a svegliarsi comunque in obitorio e di sicuro non raggiungono uno stato nel quale rischiano di venire sepolti vivi”. Ma ne siamo sicuri? È difficile che qualcuno possa tornare dalla tomba per raccontarlo.
(Fonte: Agi.it di Francesco Russo)

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