Una seria chiacchierata con “Dr Drer”…

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È con commozione che introduco l’intervista che Michele Atzori ”Dr Drer”, voce della band “Dr Drer e CRC posse”, ha gentilmente concesso di rilasciarmi. Chi conosce Michele sa che oltre ad essere uno dei protagonisti della vita musicale sarda è anche uno dei principali esponenti della lotta contro la presenza, sul territorio sardo, delle basi e delle strutture del complesso militare e industriale riferibili alla NATO e alle multinazionali petrolchimiche in generale . Strutture che hanno distrutto la Sardegna rendendola, come del resto è tutta la penisola italiana, colonia statunitense. Senza anticipare nulla di ciò che segue ma riprendendo un concetto utilizzato da Michele, è l’Atlantismo il problema a mio avviso. Concludo questo mio breve commento all’articolo ringraziando l’intervistato, che, secondo me, è riuscito in modo semplice e chiaro (ma forse perché la verità è sempre chiara quando è nota), a evidenziare quali sono i mali che affliggono la nostra Isola. Inoltre perché ha sottolineato l’esigenza e la necessità di una informazione libera e non veicolata ed eterodiretta dai poteri forti che governano l’Occidente. Buona lettura.

Caro Michele, ad ascoltare le canzoni del tuo gruppo “Dr drer e crc posse”, ci si accorge immediatamente che i testi sono scritti, al di là del ritmo e della rima, per comunicare un messaggio che fa riferimento a una precisa linea politica. Questa linea è un filo rosso che unisce tutti i brani della vostra produzione. Puoi spiegare ai lettori qual è questo messaggio, quando e perché avete deciso di trasmetterlo attraverso la musica?

In realtà nella nostra band non esiste una linea politica precisa, nel senso di riferimento ad una linea che ci possa identificare politicamente in maniera precisa. Inoltre considera che siamo una band, un collettivo, quindi per quanto siamo molto vicini e legati tra di noi, non possiamo avere tutti la stessa posizione su tutto. Diciamo che sicuramente ci possiamo definire tutti parte del movimento contro la guerra e anticolonialisti, oltre a un sacco di altre definizioni generiche.

Avete un obiettivo particolare da raggiungere?

No, se non quello di raggiungere sempre più persone con le nostre canzoni e di continuare a farlo in maniera più efficace possibile.

Un altro aspetto evidente è che il vostro racconto è in totale contrasto con quello dei media e dei mainstream ufficiali. Allora la vostra produzione come si colloca all’interno del panorama musicale? Le vostre sono canzoni di protesta?

Non ci siamo mai posti il problema di collocarci all’interno di un cosidetto panorama musicale, ammesso e non concesso che si possa dire che esista in Sardegna. Andiamo a suonare dove ci chiamano, a meno che non ci siano dietro sponsor o stand o altro quali la Saras, o peggio Vitrociset o le forze armate italiane. Le nostre canzoni non le definerei di protesta, ma molto più semplicemente testimonianze e racconti di fatti contemporanei e non, che non trovano molto spazio nella comunicazione ufficiale e insieme anche di pensieri nostri ad essi legati.

In ogni caso è utile far arrivare un pensiero alla gente nella modalità da voi scelta?

Utile riteniamo lo sia, altrimenti non faremmo questo. Certamente non é così semplice ed immediato, ma con qualche persona, individualmente, è servito, ha funzionato. Anche persone non necessariamente vicinissime a noi. Persone che ti raccontano a distanza di anni di come si sono avvicinate a alcune questioni, proprio perché noi abbiamo mosso o stimolato in quel senso. Oggi posso dire con grande soddisfazione che se questo è successo parecchie volte in 27 anni, tutto questo vale pienamente il senso di centinaia di concerti e migliaia di volte di canzoni cantate.

A questo proposito sorge di conseguenza questa domanda: in quanti, fra coloro che fanno parte del vostro sempre più nutrito pubblico, hanno consapevolezza del peso delle cose che dite?

Io ritengo che pressoché tutti capiscano tutto quello che diciamo con la musica. Cantiamo in maniera quanto più chiara possibile, con poco spazio alle metafore e comunque anche quando ci sono metafore, queste non nascondono il messaggio principale e la narrazione della canzone. Ognuno e ognuna, poi, di questa comunicazione fa l’utilizzo che meglio ritiene.

Ritorniamo qui sul tema della centralità della musica nella comunicazione delle idee. Quando terminate un concerto cosa resta a chi vi ha ascoltato?

Credo di averti risposto a questa domanda due domande sopra.

Te lo chiedo perché oggi non è abitudine comune riflettere sui testi delle canzoni. Discostandoci dall’ambito musicale per entrare in quello sociopolitico, vorrei chiederti di spiegare cosa è per te l’Occidente e come si colloca al suo interno la Sardegna.

Non ho una idea di Occidente, essendo una definizione molto ampia e che comprende realtà molto diverse e contradditorie al suo interno; viceversa ho una idea ben precisa di atlantismo e so come condiziona quasi tutte le correnti di pensiero dello stesso Occidente, comprese quelle che si autodefiniscono progressiste. In questo senso la Sardegna non fa grande eccezzione, se non ovviamente in ambienti politici ben precisi e, sparsi nella società, tra tanti pensatori liberi.

Inoltre che idea ti sei fatto delle menti dei giovani d’oggi, in particolare dei giovani sardi?

In grande maggioranza io credo si abbia una percezione molto vaga ed inesatta: dico parlando dei temi generali, delle sue risorse, della sua storia e cultura, esattamente come per le generazioni precedenti (tipo la mia) e forse anche precedentemente (anche se posso dire poco sulle generazioni precedenti alla mia). Ma non é colpa di nessuna di queste generazioni in particolare: io stesso sono arrivato in età matura ad accorgermi di essere schiavo di luoghi comuni assolutamente falsi sulla Sardegna. Del tipo: “Viviamo in una terra povera di risorse!”. Considera che non esiste un organo di informazione indipendente in Sardegna e questo determina il fatto che l’informazione non é solo manipolata, ma più spesso (come nel caso di una serie di operazioni speculative attuate in Sardegna) nascosta o completamente alterata. Potrei farti parecchi esempi di informazioni false che girano così tanto da diventare verità. Uno su tutti: fino a pochi anni fa sentivi dire all’interno dello stesso movimento contro le basi militari (e lo sento ancora ogni tanto) che i paesi, che loro malgrado ospitano le basi militari, campano dalle stesse. Si é dimostrato solo di recente l’esatto contrario, cioé che ci sono delle forti diseconomie (emigrazione, povertà, monoeconomie), oltre al danno sanitario/umano/ambientale oggi evidente. Trent’anni fa i miei amici più grandi, sardisti di sinistra e progressisti, sostenevano che le basi militari proteggessero dalla speculazione edilizia. Di sicuro non era un loro pensiero frutto di loro riflessione o studio ed analisi, ma una affermazione eterodiretta. Posso immaginare anche quale fosse la fonte, da dove partisse. In questo senso oggi, con i movimenti attivi, si stanno facendo dei passi in avanti notevoli. Ma non ancora determinanti.

In questo scenario come si inserisce la vostra musica?

Esattamente rispetto a quello che dicevo poco fa, cerchiamo di raccontare cio’ che sfugge dalla narrazione comune. Ovviamente ci son relazioni strette con i movimenti di lotta, innanzitutto quello contro l’occupazione militare e quello/i contro la speculazione energetica. Nel senso che partecipiamo come singoli ma spesso suoniamo ad iniziative in sostegno a queste lotte. Non potrebbe essere altrimenti.

Quasi tutti i vostri pezzi contengono parole in sardo indice del vostro interesse verso la Tradizione isolana. Che prospettive ha davanti a sé la lingua sarda se la Sardegna è inserita nel quadro della globalizzazione?

Non é un fattore determinante la globalizzazione: moltissime lingue, che versavano in condizioni ben più precarie del sardo attuale, sono diventate nel loro paese lingue ufficiali e parlate da tutti, perché inserite a scuola e nei media. Tutto questo in paesi perfettamente al centro della globalizzazione.

E più in generale perché guardare alle nostre tradizioni se il nostro vivere e il nostro essere sono radicalmente diversi da quelli dei nostri avi?

Anche gli inglesi, o gli italiani, o i danesi di oggi vivono in maniera radicalmente diversa rispetto ai loro avi, eppure non hanno smesso di parlare inglese, italiano, il danese. Il sardo é lingua contemporanea e viva, non é solo il risultato di una tradizione orale e scritta del passato. Ti faccio un altro esempio ancora più legato alla tradizione. La stessa poesia estemporanea sarda, quella dei poeti improvvisatori, é viva e gode di ottima salute, con anche dei ricambi generazionali. Manca pero’ il grande pubblico, perché é esclusa dai media e dalle scuole e pochi la conoscono. Ci riempiamo tutti la bocca di belle parole come “la poesia salverà il mondo” e a casa nostra stiamo abbandonando una tradizione poetica che, per le sue caratteristiche tecniche, é non solo unica al mondo, ma, in una sua forma particolare (mutetu longu), credo la più complessa del pianeta intero. Pensa che questa é si tradizione, ma é vivissima ed attuale. In altri paesi, (Cuba, Euskal Herria) che hanno tradizioni poetiche tipo la/le nostre, si riempiono grandi palasport per le gare poetiche principali e le si studia nelle scuole, dove i bambini imparano a improvvisare nelle loro metriche, conteporaneamente cantando . E’ una magia che possediamo e che pero’ teniamo nello sgabuzzino. Non é una scelta che abbiamo fatto noi: il sardo di fatto é stato escluso da tempo dallo Stato italiano in ogni ambito pubblico. Oggi abbiamo la responsabilità collettiva di recuperare l’errore creato da quelle imposizioni. Tutto questo é dimostrazione che la poesia, e con essa la sua lingua veicolare, non é una cosa del passato, é una bellezza che accompagna il genere umano nella vita, quindi é anche futuro, non solo passato. A meno che non decidiamo noi stessi di autocancellarci dal mondo. Ma non ne abbiamo motivo alcuno.

Non credi che un recupero sia impossibile visto il nostro costante sradicamento dal passato?

Come detto sopra, é assolutamente possibile: basta volerlo!

Come dovrebbe essere per te oggi la Sardegna politicamente?

Slegata totalmente dagli interessi che sono lontani anni luce da quelli del popolo che la abita. Credo che la forma futura di condivisione ed utilizzo dei territori e delle risorse dell’Isola debba essere decisa dalle comunità sarde stesse. La mia opinione (io credo nella uguaglianza tra esseri umani) conta pero’ quanto quella di chiunque altro. Innazitutto pero’, e qui sta un grosso processo storico ancora da intraprendere, dobbiamo metterci in grado di poter decidere realmente su di noi stessi. Di autodeterminarci.

Nel recente passato hai fatto politica a livello regionale. Che esperienza ti porti appresso? (Esperienza non solo personale ma anche in rapporto all’atteggiamento dei veri schieramenti politici isolani).

L’esperienza di un paio di campagne elettorali, poco significative in generale. Credo che la politica debba essere praticata tutti i mesi dell’anno e non solo ogni 5 anni.

Vorrei concludere questa intervista chiedendoti che prospettive hai per il tuo futuro e vedi per quello del tuo gruppo.

Sono un lavoratore precario all’estero, come decine di migliaia di miei conterranei e come milioni di persone in Europa. Spero di poter continuare ad occuparmi delle cose comuni, di società in generale, ancora a lungo. Spero anche che la banda continui ad avere quella energia che abbiamo speso finora.

 Enrico Sanna – autore e curatore di “Mysterion”

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