I trent’anni di Piazza Tienanmen, per non dimenticare

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La strage di Piazza Tienanmen a trent’anni di distanza: le ragioni ed i fatti accaduti nella notte tra il 3 a 4 giugno del 1989, pochi li ricordano, i più giovani forse li ignorano, eppure fu un evento di importanza epocale nella storia del XX secolo, in quel 1989 che fu anno che cambiò radicalmente il mondo ed i suoi assetti geopolitici.

Tutto partì dal 1980, iniziavano gli anni del vento di cambiamento: prima fu la forza dirompente di Solidarnosc con gli scioperi nei cantieri navali di Danzica, poi fu la Perestrojka e la volontà di rinnovamento; poi ancora la Glasnost con la sempre più irrefrenabile esigenza di trasparenza nell’informazione di regime dell’Unione Sovietica, fino alle proteste sfociate nel bagno di sangue in Cina con Tienanmen e poi a fine 1989, la caduta del Muro di Berlino, momento finale di un mondo, ma anche di rinascita e di ripartenza storico-politica.

La protesta di Piazza Tienanmen a Pechino, nota anche come Primavera democratica cinese, segna ufficialmente la fine della guerra fredda e ricorda in particolare le dimostrazioni di massa che si ebbero in Cina – a partire dall’aprile dello stesso anno – con la partecipazione di studenti, intellettuali e operai che chiedevano riforme; il culmine di quelle manifestazioni di protesta, sono racchiuse nell’immagine simbolo famosa ed immortale del Rivoltoso Sconosciuto, uno studente che – solo e disarmato – si para davanti a una colonna di carri armati.

Le rivolte di piazza erano nate in seguito alla morte del leader comunista riformista Hu Yaobang e riflettevano le preoccupazioni di parte della popolazione cinese per i rapidi cambiamenti economici nel paese, la corruzione e la mancanza di sufficienti libertà di stampa e di espressione.

Il governo cinese prima minacciò, poi sancì la legge marziale e da ultimo non riuscendo a contenere la protesta e le manifestazioni di folla che contarono anche un milione di persone, passò – purtroppo – alla repressione violenta con le armi.

Sono passati tre decenni, tanto è cambiato in Cina grazie a quella protesta che diede modo all’Occidente di conoscere la repressione interna in tema di diritti umani e libertà di espressione, eppure nonostante tutto, mancano dettagli importanti ed è ancora oggi, tutto abbastanza incerto e nebuloso quanto al numero esatto delle vittime tra morti, feriti ed arrestati.

E’ verità scomoda quanto incredibile riferire che, nessuno – a tutt’oggi – ha chiesto scusa per quelle morti ed ancora adesso la Cina difende pubblicamente la sanguinosa repressione di Piazza Tiananmen a Pechino: “Quell’incidente è stato causato da una ribellione politica e il governo centrale prese delle misure per fermare le ribellioni, adottando così una scelta politica corretta”, ha dichiarato il ministro della Difesa cinese Wei Fenghe, pochi giorni fa, a margine di un vertice sulla sicurezza a Singapore.

In Cina – ancora in questi giorni – le commemorazioni della strage sono solo sopportate e le riunioni o le fiaccolate avvengono nel silenzio dei mezzi di comunicazione e sotto lo stretto controllo delle autorità: è notizia di queste ore, che il governo utilizzi anche tecnologie di intelligenza artificiale per rilevare commenti online relativi a quegli eventi, tenendo sotto stretta osservazione anche i contenuti pubblicati su internet o nei comuni motori di ricerca, chat e social network.

La censura non è bandita, anzi funziona benissimo: ne è prova la”sparizione” del rocker cinese Li Zhi, un tour nella regione del Sichuan è stato cancellato a febbraio e i suoi account social, chiusi; la sua musica è stata rimossa dai popolari siti di streaming cinesi, come NetEase Music e QQ Music; evidentemente anche dopo tanti anni dalla strage oggetto dei suoi testi musicali, canzoni sue come “La Piazza” e versi come “ora questa piazza è la mia tomba” sono ancora tabù e giudicati inascoltabili. Un comunicato di aprile del Dipartimento culturale del Sichuan diceva di aver “fermato urgentemente” i piani su ben 23 concerti di “un ben noto cantante con condotta impropria”, formula spesso usata per indicare la trasgressione politica.

Certo, nel mondo al di fuori dei confini cinesi, negli ultimi giorni, numerose sono state le manifestazioni in ricordo delle vittime della brutale repressione: un artista di Taiwan, Shake, ha realizzato una struttura gonfiabile che raffigura l’uomo di fronte al carro armato, l’immagine simbolo di quei giorni e delle proteste sfociate nel sangue e l’opera è stata posta davanti al Memoriale di Chiang Kai-Shek, uno dei luoghi più visitati di Taipei. “Come taiwanese, ha sottolineato Shake, spero di potere aiutare la Cina a raggiungere la democrazia, un giorno – aggiungendo anche che – la strage è già stata spazzata via dalla visione politica autoritaria della Cina”.

Un fotografo cinese trapiantato negli Usa – in questi giorni – ha commemorato le vittime del massacro condividendo per la prima volta le foto dell’evento da lui scattate quando era studente: sessanta rullini con circa 2000 pose, rimasti in un cassetto ed oggi recuperati per fare conoscere, con la stampa delle immagini, “perché i giovani cinesi non hanno idea di quello che è successo – Voglio dire al mondo, non dimenticate la storia”, ha detto il fotografo che, unitamente a un piccolo gruppo di storici, scrittori, artisti e fotografi, cerca di raccontare quel capitolo di storia che le autorità cinesi vorrebbero cancellato dalla memoria collettiva.

Insomma, Piazza Tienanmen per la Cina è ancora uno “sbiadito evento storico”, al più un “incidente”, in realtà a conti fatti è invece ancora un tabù, una memoria negata, una amnesia storica, ecco perchè bisogna impegnarsi a non dimenticare, mai.

Alberto Porcu Zanda

 

 

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