No alla DAD. Gli studenti manifestano pacificamente studiando ‘in strada’

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Le proteste, quelle belle dei ragazzi che si ribellano alla tristemente famosa DAD (che starebbe per didattica a distanza) partono da Torino.

Il gesto è semplice e diretto: si studia a distanza ma non a casa, si va in strada per rendere visibile il fatto che sa di malessere e disapprovazione.

Hanno iniziato qualche giorno fa, Anita e Lisa due giovanissime ragazze di Torino, fuori dalla scuola media ‘Italo Calvino’, banchetto e zainetto con i libri, per tutta la mattinata, ferme a seguire su tablet e computer le lezioni a distanza.

Una scelta semplice ma forte, di grande impatto, che ha creato proseliti: pian piano tanti ragazzi, quelli del classico ‘Gioberti’ ma anche altri, in altre citta come Firenze e Milano – per esempio – sono scesi in piazza per questo flashmob, a dire la loro davanti alla sede della Regione Lombardia.

Anche la ministra Lucia Azzolina che si è sempre battuta per una ‘scuola sicura ma aperta’, colpita favorevolmente dalle manifestazioni, si è mossa chiamando Anita: “Il tuo gesto è ammirevole – ha sottolineato – È bello vedere che ci sono ragazzi che credono nelle proprie idee e che le portano avanti”, aggiungendo che sarà fatto “tutto il possibile per tenere le scuole aperte e permettere anche ai più grandi di rientrare, tenendo conto della situazione epidemiologica”.

Via libera quindi agli studenti di ‘Schools for future’, il movimento nato su ispirazione dell’esperienza dei ‘Fridays for Future’ di Greta Thunberg.

La dodicenne Anita (subito paragonata a Greta) si è detta contenta di vedere altri ragazzi in strada con lei: “Qualcosa è cambiato dopo questi giorni, c’è più coscienza tra gli studenti, ma anche nelle persone più grandi” – chiarendo che – “Io però non voglio essere famosa, voglio solo tornare a scuola”.

Hanno le idee chiare i ragazzi: Silvia Spirito del ‘Carducci’ pone l’accento sul paradosso delle “profumerie aperte e scuole chiuse” e che “è incredibile che a differenza di tutti i paesi europei che hanno puntato sulla scuola, in Italia sia la prima cosa che ha chiuso”.

C’è chi, come Giulio Soetje del ‘Volta’, parla di una delle questioni più ‘calde’, quella della ‘mobilità’: “I trasporti affollati sono un problema, ma bastava organizzarsi per turni scaglionati e sarebbe stato risolto. La riapertura delle scuole inizialmente non ha portato al rialzo dei contagi, perché le scuole erano luoghi messi in sicurezza. Il governo può e deve prendersi l’impegno di riaprirle prima possibile”.

Sveva Pontiroli del ‘Volta’, è chiara e diretta: “Vogliamo protocolli sanitari ben precisi per ogni scuola, in modo da tornare in sicurezza a lezione” – afferma – “Non chiediamo il 100% in presenza, ma che la Dad non sia la norma”.

Pietro e Simone sono a Firenze, entrambi diciottenni, dichiarano: “Stiamo davanti al nostro Liceo Galileo, ci siamo portati il telefono per fare lezione con le cuffie, ci siamo organizzati. Noi riteniamo che non si possa fare  lezione a distanza a lungo: si può apprendere qualcosa ma l’istruzione è un confronto collettivo, seguire in classe e tutt’altra cosa. Per noi la didattica a distanza può essere un modo di stare fermi quando la didattica frontale è infattibile ma vogliamo garanzie che il prima possibile rientreremo in presenza, vogliamo tornare a fare scuola come è sempre stata pensata, la forza della scuola è la presenza”. 

Pietro è anche preoccupato per gli esami di maturità che lo attendono a giugno: “Noi ancora non sappiamo come sarà la maturità e ci preoccupa un altro possibile stop nella seconda metà dell’anno scolastico”.

Insomma il grido forte è: “La didattica a distanza non è scuola”. Le lezioni davanti ad uno schermo sono asettiche, l’interazione è del tutto limitata se non assente, manca il dialogo, non c’è il confronto diretto e verbale tra studenti e insegnante.

LA DAD, al limite, può essere utile come mezzo di trasmissione di nozioni, ma non può e non deve sostituire la scuola vera, dove – nonostante le difficoltà – il distanziamento fisico con i dovuti accorgimenti, è salvo. Il problema in altri termini non è la scuola, ma tutto quanto le sta attorno.

C’è tanta voglia di tornare a scuola: per una volta sono d’accordo tutti, studenti, professori e genitori.

Alberto Porcu Zanda

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