16 gennaio 1969, moriva Jan Palach, eroe della libertà

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E’ passato poco più di mezzo secolo, precisamente 52 anni da quel lontano 16 gennaio 1969, data nella quale morì Jan Palach.

Il tempo trascorso da quel giorno di allora è davvero tanto, ma quel gesto coraggioso e terribile insieme, merita di rimanere vivo; ricordarlo, serve affinchè quell’atto simbolico ed eroico non si affievolisca nella memoria e nelle coscienze.

Jan Palach era un giovane studente di filosofia di 22 anni, patriota che coltivava valori di libertà ed assisteva fiducioso – in quegli anni bui di repressione politica – alla stagione riformista del suo paese che fu chiamata Primavera di Praga.

Palach e alcuni suoi amici decisero di manifestare il loro dissenso contro la censura e l’occupazione sovietica della Cecoslovacchia, attraverso una scelta estrema, immolare le proprie vite suicidandosi; erano in tutto sei giovani, pianificarono il gesto e decisero la data, a Jan toccò essere il primo.

Jan Palach
(Nell’immagine di copertina, il monumento eretto nel punto in cui si diede fuoco)

Ebbe a scrivere in una lettera poi trovata nel suo zaino accanto a lui morente: “Poiché i nostri popoli sono sull’orlo della disperazione e della rassegnazione, abbiamo deciso di esprimere la nostra protesta e di scuotere la coscienza del popolo. Il nostro gruppo è costituito da volontari, pronti a bruciarsi per la nostra causa. Poiché ho avuto l’onore di estrarre il numero 1, è mio diritto scrivere la prima lettera ed essere la prima torcia umana. La richiesta principale è l’abolizione della censura: se questa richiesta non sarà rispettata entro cinque giorni, vale a dire entro il 21 gennaio 1969, e se la gente non dimostrerà appoggio alla nostra azione, altre torce umane mi seguiranno”.

Per protesta contro l’invasione sovietica e il clima di repressione instaurato da Mosca, quindi, si immolò pubblicamente, dandosi fuoco come avevano fatto i monaci buddisti del Vietnam del Sud, che nel 1963 protestarono in quel modo contro le discriminazioni inflitte dal presidente cattolico.

Quel lontano 16 gennaio, a Praga era una giornata fredda: di pomeriggio Jan Palach arrivò di fronte al Museo Nazionale in piazza Venceslao, luogo simbolo della resistenza praghese.

Lucido e determinato al suo gesto, nel suo zaino accanto ai quaderni, ai libri ed agli articoli con sue dichiarazioni, aveva messo anche una tanica di benzina. Fu un attimo: si tolse il cappotto, inspirò dell’etere, si cosparse di benzina e con un accendino si accese, divenendo subito una torcia umana; morì tra atroci sofferenze dopo tre giorni di agonia.

Il suo gesto provocò una fortissima ondata di emozione in tutto il paese ed i suoi funerali furono seguiti da centinaia di migliaia di persone, desiderose di prendere una chiara posizione politica di fronte ai propri governanti e alla dirigenza sovietica.

Anche se stando alle indagini condotte dalla polizia ed ai documenti d’archivio, il gruppo di ‘torce umane’ di cui scrisse Palach non sarebbe (probabilmente) mai esistito, altri ragazzi (forse proprio i suoi amici della lettera) seguirono secondo i piani prestabiliti, il suo esempio: le loro morti ebbero tuttavia molta meno risonanza mediatica perché il governo cercò di coprire e soffocare la diffusione delle notizie di quei fatti.

I suoi ideali di libertà non vanno dimenticati; negli anni la sua figura fu rivalutata anche nella repubblica Ceca: nel 1989, gli venne intitolata la piazza nel centro di Praga fino ad allora dedicata all’Armata Rossa.

Nel 1990, il presidente Vaclav Havel gli dedicò una lapide posta in piazza San Venceslao, a Praga per commemorare il suo sacrificio in nome della libertà.

Alberto Porcu Zanda

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