Le sanzioni alla Russia dietro la crisi del latte in Sardegna

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La crisi del latte in Sardegna non è dovuta soltanto al prodotto a basso costo che arriva dall’estero. Prezzo del pecorino romano, prezzo al litro del latte pagato ai pastori, latte versato sull’asfalto,

cartello degli imprenditori del latte, protesta degli allevatori. Questo è quello che si sente, si legge e si urla. Tutti ci sentiamo pastori, tutti ci sentiamo vittime di una situazione che ha toccato il fondo e che sta distruggendo il motore della nostra economia. E’ normale chiedersi come mai si è arrivati a questo punto, per quale motivo un settore che sino a pochi anni fa dava qualche soddisfazione adesso è all’orlo del collasso. Mi è piaciuta l’intervista di un pastore che ha detto “l’ovile ha creato dottori ed avvocati” niente di più vero tanti dottori ed avvocati sono orgogliosamente figli di pastori.

Ma perché si è arrivati a questo punto?

Caseifici pieni di prodotto invenduto e latte buttato? Scavando a fondo non è difficile capire che è solo la naturale conseguenza di alcune scelte scellerate in politica estera fatte dall’Unione Europea atte a suffragare il colpo di stato in Ucraina riuscito a metà. Ce lo spiega bene un articolo di Alessandro Pirina pubblicato nella Nuova Sardegna il 31 agosto 2014 link

“Anche il formaggio sardo, infatti, fa parte della lunga lista di prodotti agroalimentari della Unione europea che non potranno varcare il confine a causa dell’embargo deciso da Vladimir Putin come risposta ai paesi che hanno imposto o semplicemente appoggiato le sanzioni contro la Russia per la crisi con l’Ucraina. Una decisione che sta creando non pochi problemi al settore caseario isolano. Negli ultimi tempi, infatti, il pecorino romano si stava facendo sempre più spazio nel mercato russo, raggiungendo numeri importanti, impensabili fino a qualche anno fa.

«Stiamo soffrendo – ammette Pierluigi Pinna, amministratore delegato dell’omonima azienda casearia di Thiesi, nonchè presidente di Confindustria della provincia di Sassari –. Dal 7 agosto, quando è stato approvato l’embargo, ben due spedizioni della nostra azienda sono state bloccate. Ora siamo in attesa di capire come potrà evolversi la situazione, ma tutti noi abbiamo le mani legate. Come Assolatte ci siamo mossi subito, abbiamo sottolineato quanto questo embargo possa essere dannoso per l’economia agroalimentare dell’isola, ma è una questione geopolitica in cui noi non abbiamo voce in capitolo. Si tratta di un problema che dovrà essere affrontato dal governo».

L’embargo, dunque, arriva in un momento in cui il pecorino romano cominciava a fare grandi numeri anche a Mosca e dintorni. La Coldiretti parla di un export dal valore di un milione e mezzo di euro. «Il mercato russo si stava facendo molto interessante – continua Pinna –. È uno di quelli più in crescita insieme al nord Europa. Non è l’America, è vero, ma ogni anno che passa i numeri si fanno più importanti. Peccato, la crisi in questo momento non ci voleva. L’augurio è che possa risolversi subito, anche se l’aria che tira non mi fa pensare positivo».”

Da allora niente è cambiato e le sanzioni sono state prorogate di anno in anno. Si sapeva che prima o poi si sarebbe arrivati a questo punto. È facile imporre le sanzioni, ritorsioni quando a pagare sono gli altri, non si pensa mai alle conseguenze ai danni spesso irreparabili all’economia. È normale che se la Russia come contro sanzione decide di bloccare il formaggio italiano ha già pronti altri fornitori ed incentiverà i propri allevatori a darsi da fare per non dipendere più dagli altri. E’ naturale che a pagare le conseguenze siano i pastori e le stesse industrie casearie che hanno accumulato i prodotti bloccati dalle sanzioni . Hanno ragione i pastori a protestare, non si può caricare sulle spalle di chi si ammazza di lavoro le scelte scellerate di chi sta a Bruxelles e dei nostri governanti incapaci di puntare i piedi e bloccare le sanzioni che fanno più male alla nostra economia che a quella russa.

Giorgio Lecis

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