Morto in carcere Uta, s’indaga per istigazione suicidio

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 Istigazione al suicidio. È l’ipotesi di reato su cui indaga la Procura di Cagliari dopo la morte nel carcere di Uta di Angelo Frigeri, 40 anni, reo confesso e condannato all’ergastolo per la strage della famiglia Azzena: il padre Giovanni, 50 anni, la moglie Giulia Zanzani, di 46, e il figlio Pietro, di 12, uccisi nella loro casa di Tempio Pausania il 15 maggio del 2014 durante una rapina finita nel sangue.

Frigeri era stato trovato impiccato venerdì scorso in una cella della casa circondariale di Uta, dove era stato appena trasferito da Badu’ e Carros a seguito dell’indagine sui telefonini fatti arrivare ai detenuti dell’alta sicurezza rinchiusi a Nuoro. Il fascicolo sulla sua morte è stato aperto dal sostituto procuratore del capoluogo sardo Daniele Caria. Il magistrato ha anche disposto l’autospia: se ne sta occupando in queste ore il medico legale Matteo Nioi al Policlinico di Monserrato. “Non abbiamo nominato alcun consulente – precisa all’ANSA l’avvocato Giancarlo Frongia, che tutela la famiglia Frigeri – Ci vorranno circa 90 giorni per conoscere i risultati degli accertamenti necroscopici. Noi acquisiremo tutte le informazioni sul trasferimento di Angelo”. Quanto al possibile coinvolgimento del detenuto sul traffico di cellulari a Badu’ e Carros, il legale spiega: “Non abbiamo alcuna conferma, aspettiamo di leggere le carte”.

L’indagine della Procura di Nuoro su questa vicenda ha portato finora all’arresto di due persone per corruzione e introduzione illecita di telefoni cellulari in carcere: l’agente penitenziario Salvatore Deledda e la napoletana Carmela Mele. Resta invece in capo alla Dda di Cagliari l’inchiesta parallela sulla clamorosa evasione da Badu’ e Carros del boss della mafia garganica Marco Raduano. (ANSA).

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