11/12 Maggio – Monumenti Aperti a San Sperate

0 0
Read Time:13 Minute, 29 Second

Ci sarà anche San Sperate tra i Comuni che partecipano, sabato 18 e domenica 19 maggio, a Monumenti Aperti.  Alla sua XXVIII edizione, la manifestazione organizzata e coordinata a livello regionale e nazionale dall’associazione Imago Mundi OdV, farà tappa, quest’anno, in 78 Comuni: lungo cinque fine settimana dal 4 maggio al 2 giugno e in una seconda parte dal 12 al 27 ottobre. Spazi per i sogni è il tema di questa edizione. L’idea è proporre e sostenere la necessità (e la capacità delle comunità) di creare spazi, fisici e virtuali, per il perseguimento e la realizzazione di sogni, siano essi già concretizzati – quindi memoria – che da realizzare – quindi evoluzione/futuro.

Sono 9 i luoghi della cultura visitabili a san sperate per questa prima edizione.

Tutte le informazioni sul programma e sulle attività collaterali possono essere consulte sul sito monumentiaperti.com.

I MONUMENTI

Tutte le visite guidate ai monumenti sono a cura degli alunni dell’Istituto Comprensivo Grazia Deledda

Chiesa di San Giovanni Battista. L’area su cui è stata edificata la chiesa vide frequentazioni a partire dall’epoca nuragica. Intorno al XIII si sviluppò, infatti, nel rione di San Giovanni un insediamento abitativo che perdurò fino alla conquista fenicia del paese nel VI secolo a. C. L’insediamento si estendeva fino al margine del Rio Flumineddu e deve interpretarsi come un nucleo di neoformazione ad opera di fuoriusciti del villaggio più antico di San Sebastiano, sito nella porzione occidentale dell’abitato. Dopo una parentesi in epoca romana, le evidenze archeologiche residenziali riprendono solo in epoca alto medievale (VIII – XII d.C.) per giungere fino ai giorni nostri.

L’attestazione documentaria più antica della chiesa risale al 1599, quando Monsignor Alonso Laso Sedeno (arcivescovo di Cagliari) redigette un decreto in cui veniva chiaramente indicato che la parrocchia era dedicata a San Giovanni con le chiese filiali di San Sebastiano, Sant’Antonio, Santa Lucia, Santa Barbara, Sant’Andrea. Fino al 1885 presso la parrocchia di San Giovanni era situato il cimitero, ma in adempienza della legge civile del 20 Marzo 1865, anche il comune di San Sperate si dotò di un cimitero proprio extra moenia. L’ultimo speratino a trovarvi requie eterna fu Raffaele Lixi nel 1885. Una deroga alla stringente normativa venne effettuata in seguito alla terribile inondazione de S’Unda Manna, avvenuta il 21 Ottobre 1892 in cui trovarono la morte 90 speratini: tutte le vittime furono sepolte nel cortile della chiesa di San Giovanni. A memoria dell’evento nel 1972 fu realizzata una targa marmorea commemorativa attualmente posta sopra l’ingresso laterale della chiesa.

Chiesa di Santa Lucia. La Chiesa di Santa Lucia risale alla fine del Cinquecento come risulta nei documenti dell’archivio Arcivescovile: la prima menzione è del 1599 nel decreto dell’arcivescovo Monsignor Sedano.

Da originario santuario campestre, che probabilmente insisteva su precedenti luoghi di culto, divenne cappella e cimitero, come attestano le numerose sepolture rinvenute sotto il pavimento.

La struttura della Chiesa presenta un’unica aula rettangolare senza abside né cappelle, con un bel portale d’ingresso, finestra ovale e campaniletto a vela frutto di rimaneggiamenti settecenteschi in stile barocco maturo, forse già piemontese. È realizzata in tufo di cava. Le parti architettoniche più antiche sono in stile romanico – a indizio di un precedente edificio bizantino, come il culto per Santa Lucia-; i maggiori rifacimenti risalgono all’epoca seicentesca e settecentesca come sembra rivelare la copertura lignea e la facciata.

Il fregio dell’altare tardo-seicentesco è caratterizzato dai simboli della palma, del libro, dell’occhio del pugnale e del crescente lunare. Quest’ultimo farebbe pensare all’esistenza di un precedente culto ad una divinità femminile nuragica, lunare, venerata anche nel periodo punico e romano. All’interno della Chiesa è custodita la statua lignea della Santa, restaurata alla fine degli anni novanta: alta circa 85 cm, raffigura la martire abbigliata con una veste dal ricco drappeggio, cinta decorata e con la mano destra protesa a reggere un piattino, sul quale dovevano essere posizionati i due occhi simbolo della Santa, a cui ci si affida ancor oggi per chiedere protezione per la vista.

A ridosso dell’ingresso è conservato un pozzo nuragico che mostra segni di tre diverse fasi costruttive: la prima con tecnica muraria che prevede utilizzo di grossi conci; la seconda che interessa una porzione della canna cilindrica realizzata in ciottoli; infine la parte sommitale a ghiera quadrata con pedarole, verosimilmente di epoca romana.

Museo del Crudo. Il Museo del Crudo, situato nella centrale via Roma, è stato realizzato su un lotto ad elle, in precedenza occupato da un’antica abitazione padronale del Seicento interamente costruita in ladiri.

Dopo essere stata corpo centrale di un’antica dimora, in seguito all’acquisto da parte dell’amministrazione comunale dall’allora proprietario Giuseppe Piras, con rogito notarile datato 16 aprile 1857, il lotto cambiò destinazione d’uso, assumendo l’importantissima funzione sociale di scuola e municipio. Da un rendiconto di spesa datato al 9 dicembre 1857 si evince che l’impianto strutturale dell’abitazione privata dovesse ricalcare grosso modo quello dell’attuale museo, pur con alcune azioni di restauro per un ammontare di spesa pari a lire 3300.

Da una planimetria datata al 20 dicembre 1940 e da alcune foto d’epoca che ritraggono scolaresche negli anni ’20, risulta che la parte dell’edificio prospiciente alla strada fu adibito ad aule scolastiche (due al pian terreno e due al piano primo), mentre il corpo più interno ospitò il municipio, con archivio, ripostiglio, magazzino e camera di sicurezza al pian terreno, un secondo archivio, e ufficio del sindaco, dell’applicato e del segretario nel piano superiore. La piccola struttura posta sul lato orientale fungeva, invece, da ambulatorio comunale.

Il trasferimento negli anni sessanta delle scuole elementari nello stabile di via Sassari e degli uffici comunali nel nuovo municipio di via Risorgimento, determinò uno stato di abbandono e di conseguente degrado dell’intera struttura. Per far fronte a tale situazione nel 1985 fu redatto un progetto di restauro e riqualificazione affidato all’architetto Roberto Badas e totalmente finanziato dall’Assessorato Regionale alla Pubblica Istruzione, in merito ai contributi da destinare per i musei di enti locali.

Attualmente il museo è utilizzato per mostre estemporanee, convegni e iniziative di carattere culturale.

La Croce Santa. Tanto modesta nelle dimensioni quando grande nella sua portata simbolica, la Croce Santa insiste su un angolo dell’omonima piazza, da sempre crocevia di sguardi, di sogni e di preoccupazioni.A decretarne il ruolo di angolo privilegiato dell’identità paesana fu una San Sperate che rialzava la china dalla peggiore tragedia che, a memoria d’uomo, avesse colpito il paese: S’Unda Manna del 1892.

La notte del 20 ottobre 1892, infatti, dopo una giornata di pioggia intensa e continua, attorno alle undici e mezza di notte, i due fiumi del paese, il Riu Mannu e il Riu Flumineddu strariparono, riversando nel paese tutte le acque che avevano accumulato dai paesi limitrofi.

Il paese che allora contava circa 1735 abitanti, fu sommerso da un mare di acqua e fango fino all’altezza di un metro e cinquanta. Le modeste case di ladiri non poterono proteggere gli abitanti: ci furono 69 morti che trovarono sepoltura in una fossa comune, presso il cimitero della chiesa di San Giovanni.

Per gli scampati all’alluvione non fu facile riprendersi: i primi soccorsi non giunsero prima del 23 ottobre poiché le acque avevano invaso anche i paesi vicini di Assemini, Decimo e Elmas. I continui appelli delle autorità civili e religiose, videro risposta nella generosità dei fedeli e delle cariche politiche che destinarono molte offerte destinate ad alleviare le pene degli abitanti di San Sperate.

Un comitato apposito venne istituito per la ricostruzione della Croce Santa, dopo che “come è purtroppo notorio, la notte dello 20 Ottobre le onde del nubifragio seco trasportarono il fabbricato che questa popolazione rispettosamente appellava col titolo di Croce Santa che sorgeva nel centro della piazza omonima”.

Murale S’Unda Manna. Nel paese dei muri dipinti anche la più terribile delle tragedie diventa occasione di arte comunitaria. Nasce così il murale de S’Unda Manna, dipinto dal muralista Angelo Pilloni in via Monastir: una linea azzurra – come l’acqua limpida che dà la vita e non porta più la morte – tracciata dalla mano gioiosa di un bambino, che imprime nel muro e nell’immaginario collettivo l’altezza raggiunta dall’acqua in quella buia notte da fine del mondo. Ai bambini è infatti è riservato il dono di immaginare un futuro anche quando sembra che tutto sia destinato a finire. L’opera, realizzata negli anni ’90, è stata oggetto di un restauro in occasione dei centotrent’anni dall’evento calamitoso, ad opera dello stesso autore che in questa ha inserito il dettaglio vivido delle due testate giornalistiche che, all’epoca dei fatti, trattarono la vicenda: L’Unione Sarda e il New York Times.

Infatti l’eco del piccolo comune del Campidano, fatto di fango e spazzato via dalle acque dei due corsi del Riu Mannu e Flumineddu, varcò non solo il Mediterraneo ma anche l’oceano: già il 24 ottobre la notizia occupava la prima pagina del New York Times, per poi comparire a stretto giro nel Los Angeles Herald, nel The Morning Call, nel New York Tribune, ma anche nelle spagnole El Siglo Futuro e El Isleno, e in Australia nel The Daily Northern Argus, il Leader e il ‘Rock Island Daily, passando dalle principali testate in Svizzera, Germania, Francia, Russia e Argentina.

Murale “Il Santo Patrono”. Il Murale dedicato al Santo Patrono è stato ideato e realizzato nel 1976 da Angelo Pilloni, muralista di San Sperate protagonista con Pinuccio Sciola della nascita del Paese Museo. L’opera realizzata sul muro di un’abitazione privata prospicente la centrale Piazza Croce Santa, doveva rispondere alle esigenze del proprietario che auspicava la rappresentazione del santo patrono – cui era particolarmente devoto – e le esigenze culturali del movimento artistico che da circa dieci anni animava il paese. Il risultato ottenuto è uno splendido connubio tra Fede e cultura contadina, sancito da forti elementi simbolici: l’altare nuragico e la maschera ghignante rappresentano le radici storiche dell’abitato, su cui si innestano le radici di una pianta e un muro di pietra. A colpire lo spettatore è certamente la pecora che giace morta sui lacerti murari, figura di un mondo agropastorale che l’incipiente industrializzazione stava portando alla morte. Nella versione originale del murale in luogo del fiorente albero di agrumi, c’era un albero di pesco morente a causa del protrarsi della siccità, cui non giovava più neppure il lavoro indefesso del contadino.

Ma la speranza era comunque riposta in alto, in quel santo portato in processione con fede e devozione dall’intero paese, sotto la vigile osservazione della pia donna che, seduta, snocciola il rosario e dell’uomo con su bonettu in testa che- a guisa di sfida alle convenzioni sociali – mostra superiore distacco.

Nel restauro del 1994, realizzato dallo stesso muralista Pilloni, l’impianto del murale non è stato modificato se non per il dettaglio dell’albero di pesco sostituito dall’arancio: una rivisitazione alla luce di una nuova fase della vita della comunità, pervasa da una rinnovata slancio al recupero delle antiche tradizioni: le prime coltivazioni arboricole a San Sperate furono di agrumi e non di pesche.

Parrocchia di San Sperate Martire. La chiesa parrocchiale, intitolata al martire eponimo, edificata nel 1649  su una precedente costruzione di epoca tardo antica, una ecclesia paleocristiana, realizzata tra IV e VI secolo. In essa erano presenti tombe pagane e cristiane, tra le quali con molta probabilità, era compresa la memoria in onore delle reliquie del martire scillitano Sperate, posta, secondo la tradizione a sinistra dell’attuale altare maggiore. La presenza delle preziose reliquie del martire africano determinò, in un’epoca imprecisata, il cambiamento del nome del centro abitato da civitas Valeria a San Sperate.

La chiesa ha subito vari rifacimenti nel corso dei secoli, l’ultimo dei quali in ordine di tempo si è concluso a luglio 2018. I lavori, resi necessari dal crollo improvviso di intonaco e calcinaci dalla copertura dell’aula centrale, hanno interessato in particolar modo il tetto della navata che è stato interamente ripristinato nella sua veste originaria in legno, prima di essere modificata nel 1936 con una volta a botte in cemento armato. L’attuale copertura lignea è stata realizzata in massello di castagno nazionale con ripartitori di carico in acciaio interamente inseriti a scomparsa sugli archi

A rappresentare simbolicamente l’attaccamento della comunità alla chiesa parrocchiale, è stata organizzata l’iniziativa “Una tegola per la casa di Dio”, attraverso la quale sono state recuperate, grazie alle donazioni dei compaesani, le seimila tegole di rivestimento del manto di copertura della chiesa.

Giardino Sonoro. Il Giardino Sonoro è un museo a cielo aperto, è il luogo utilizzato da Pinuccio Sciola fin dagli anni ’60 come laboratorio, creando un’identità in pieno connubio con la natura sino a renderlo sito espositivo agli inizi del ventesimo secolo. Un orizzonte di pietre megalitiche, uno spazio artistico senza tempo, in continuo divenire che permette ai visitatori di compiere un’emozionante passeggiata all’interno dell’agrumeto in un percorso senza segnali né direzioni, tra i megaliti capaci di amplificare magicamente il senso di smarrimento.

Un luogo d’arte, che si esprime in tutte le lingue del mondo, dove basalto e calcare producono suggestivi suoni arcaici, ancestrali e mistici; dove i “semi” di pietra sono seminati affinché la cultura fecondi la natura; dove i graniti, nel buio della notte, svelano attraverso la luce radente nuove superfici tridimensionali.

Un luogo immerso nel verde, carico di energie, che coinvolge tutti i sensi, dando la possibilità ai visitatori di poter godere, in una dimensione inedita, di Arte e Natura. Una natura viva, fino al suo più immobile e silenzioso elemento: la pietra.

Le mie sculture per ora sono qui, nei luoghi in cui le ho piantate perché mettessero radici e tornassero a vivere. Un giorno che non conosco, spero tornino all’Universo che le ha generate. P. Sciola

Sabato e domenica alle 10.00 alle 13.00 e dalle 16.00 alle 19.00

Visite guidate alle: 10.30 / 11.30 / 12.30 / 16.30 / 17.30 / 18.30

Frantoio di Casa Tola. La Villa Tola fu commissionata nel 1848 dal barone Giovanni Tola nelle terre ereditate dalla moglie, Isabella Cadello Asquer, a Gaetano Cima, il celebre architetto cagliaritano, in quel momento all’apice della sua carriera.

La casa fu progettata in tipico stile neoclassico (ma con la grande particolarità dell’utilizzo del mattone crudo, su ladiri) circondata da un giardino e delimitata da una cinta muraria con ingresso monumentale sulla strada. In virtù di un di alcune clausole contrattuali risalenti al 1748, la casa viene ereditata solo dal ramo femminile della famiglia, che avrà sempre un ruolo di spicco nella gestione della casa e dell’azienda agricola annessa.

Fra li annessi rustici della proprietà di particolare interesse storico è certamente il frantoio, realizzato alla fine del seicento su due piani interamente in ladiri. L’edificio è stato oggetto di restauro nel 2000. Il piano terra presenta, in qualità di ambiente di raccordo, una tradizionale lolla campidanese che immette rispettivamente al frantoio vero e proprio e al magazzino per la conservazione delle derrate, prodotte in seguito alla macinazione delle olive. Al piano terra il frantoio serba gelosamente gli arcaici utensili del mestiere: l’antica macina, la pressa e la tinozza; mentre gli orci con gli stemmi familiari risalenti al 1910 sono custoditi nel magazzino delle derrate. Una scala interna conduce al primo piano, dove venivano stoccate le olive prima della macinazione.

INFORMAZIONI UTILI

I monumenti saranno visitabili gratuitamente, sabato e domenica dalle 10.00 alle 13.00 e dalle 15.30 alle 20.00, salvo dove diversamente specificato.

Per la visita ai siti si consigliano abbigliamento e scarpe comode. Le visite alle chiese saranno sospese durante le funzioni religiose. È facoltà dei responsabili della manifestazione limitare o sospendere in qualsiasi momento, per l’incolumità dei visitatori o dei beni, le visite ai monumenti. In alcuni siti la visita potrà essere parziale per ragioni organizzative o di afflusso.

Eventuali altre indicazioni per i visitatori:

Informazioni presso piazza Croce Santa e Museo del Crudo in via Roma 15

print
Happy
Happy
0 %
Sad
Sad
0 %
Excited
Excited
0 %
Sleepy
Sleepy
0 %
Angry
Angry
0 %
Surprise
Surprise
0 %

Average Rating

5 Star
0%
4 Star
0%
3 Star
0%
2 Star
0%
1 Star
0%

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *