Anche se picchia la moglie l’immigrato resta in Italia

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Roma – Non basta picchiare la moglie incinta di 8 mesi ed essere condannato per questo perchè un immigrato sia rimpatriato alla fine della sua pena. Bisogna dimostrare che sia ancora «pericoloso socialmente». E un like sul profilo Facebook ad un video dell’Isis rappresenta un grave indizio di colpevolezza, giustificando la custodia cautelare in carcere per apologia del terrorismo.Fanno discutere queste due sentenze della Cassazione. La prima dà ragione ad un marocchino, residente in Italia e in prigione con pena di 3 anni per maltrattamenti e lesioni personali alla coniuge. Nessun automatismo, spiegano i giudici della Sesta sezione penale, perché l’espulsione dello straniero che sconta una condanna superiore a 2 anni «costituisce una misura di sicurezza personale di carattere facoltativo, applicabile dal giudice solo nel caso in cui, con logica e congrua motivazione, abbia verificato la sussistenza in concreto della attualità della pericolosità sociale». E per la Suprema Corte, questa motivazione risulta carente nella sentenza impugnata. Viene dunque accolto parzialmente il ricorso dello straniero: la condanna è confermata ma non l’espulsione. E la palla torna ai giudici della Corte d’appello di Milano. Anche se la Cassazione sottolinea la «reiterazione delle condotte vessatorie e violente, sia di tipo fisico che verbale» dell’uomo, raccontate dalla moglie e dimostrate da referti di pronto soccorso, su una contusione cranica con ematoma e contusioni addominali. Era alla 32esima settimana di gravidanza quando fu aggredita dal marito, come accertarono i carabinieri. E viveva in un «sostanziale stato di isolamento rispetto alla realtà esterna», in una «situazione di costante assoggettamento e umiliazione» e subiva fin dall’inizio del matrimonio «insulti, percosse e minacce», come quella di rimandarla in pratria e «di portarle via la figlia».

L’altra sentenza riguarda un kosovaro, residente nel Bresciano e ora espulso. Per i Supremi giudici un like sul suo profilo Fb ad un video dell’Isis è un grave indizio di colpevolezza e giustifica il carcere per apologia del terrorismo. Il pm di Brescia ha presentato un secondo ricorso, dopo che la misura cautelare è stata annullata dal tribunale del Riesame, che non ha ritenuto evidente in quel mi piace al Jihad il riferimento «proprio all’Isis e non ad altri combattenti». Per la Quinta sezione penale, invece, è «pacifico» che «abbia inneggiato apertamente allo Stato islamico ed alle sue gesta ed ai suoi simboli» e si deve tener conto di contatti con altri soggetti già indagati per terrorismo islamico. Inoltre la durata, 11 giorni, della condivisione di due video inneggianti all’Isis su Fb e il fatto che uno dei due sia stato diffuso con il like dimostrano «la portata offensiva della sua condotta, attesa la comunque immodificata funzione propalatrice svolta in tale contesto dal social network ». Il Riesame di Brescia dovrà quindi occuparsi di nuovo del caso. (Ilgiornale.it)

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