“Festen, il gioco della verità” ha una sola certezza: conquista il Teatro Massimo

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Un compleanno, una famiglia danese di alta borghesia, segreti e tanta ipocrisia dietro una falsa apparenza. “Festen. Il gioco della verità” ruota attorno a questi elementi nella prima rappresentazione teatrale italiana scritta da Marco Lorenzi e Lorenzo De Iacono. Una piece che riprende quanto visto nell’omonimo film diretto da Thomas Vinteberg , 1998 vincitore del Gran Premio della Giuria di Cannes.

Nello spettacolo inserito nella Grande Prosa Cedac, non ci sono effetti speciali o particolari coreografie. Sul palco del Teatro Massimo, tutto è ridotto all’essenziale. Una videocamera senza fili, tenuta in mano a rotazione dagli stessi attori, si muove per riprendere i protagonisti in presa diretta per riprodurli fedelmente su un grande schermo. Al pubblico la scelta: apprezzare i dettagli dei primi piani o guardare attraverso il telo.

La precedente scelta offerta agli spettatori, copione verde o copione giallo, è forse un placebo. Non sembrano invece esserci dubbi che la fiaba noir di Hansel e Gretel possa trovare spazio in entrambe le opzioni. Quale migliore introduzione a un contesto familiare inquietante come quello della famiglia danese dei Klingenfeld?

E pensare che tutto prende forma da un evento lieto come il 60^ compleanno del capo famiglia Heige (interpretato da Danilo Negrelli) festeggiato con la moglie (Irene Vivaldi), i tre figli Christian (Elio D’Alessandro), Helene (Barbara Mazzi) Michael (Raffaele Musella), la nuora Mette (Carolina Leporatti), il nonno (Angelo Troncia) e i parenti lontani. A disposizione degli ospiti un cerimoniere e personale di cucina. Manca una sola persona: Linda (Roberta Lanave), la sorella gemella di Christian morta suicida.

La famiglia si ritrova per fare festa. Fra risate finte, balli non spontanei e battute senza senzo, passato, presente e futuro si intrecciano in un contesto dove salvare le esteriorità sembra essere l’unica cosa che conta. Ma fra ripetuti brindisi in onore di Heige, come una spina sotto il fango, ecco il tintinnio di Christian: il suo omaggio al padre non è che una denuncia sugli abusi sessuali da lui compiuti su di lui e su Linda.

“Christian è malato, Christian da bambino aveva un coniglio immaginario come amico “. Padre e madre mentono sapendo di mentire e il party può riprendere facendo finta di nulla. Il cerimoniere continua a distribuire coriandoli, Helene attende la sua fidanzata per presentarla ai suoi, Michael aspetta il momento opportuno per chiedere un prestito al padre.

Tuttavia col ritrovamento di un biglietto scritto da Linda, tutto cambia. Le fondamenta di Heige crollano. Va “al tappetto” sia fisicamente quando viene preso a calci dallo stesso Michael, sia moralmente quando viene definitivamente abbandonato dalla sua famiglia.

In questo continuo dualismo fra vero e o falso, il cast riesce concretamente a spiazzare il pubblico nelle due ore di spettacolo. Lo fa schierare volta per volta e talvolta riesce anche a farlo sussultare quando irrompe fra le poltrone della platea o si sposta all’esterno del Massimo. Come commentare dunque, dopo il lungo applauso finale, questo “gioco della verità”?

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