Cara Fedeli, ma chi va a prendere i figli a scuola se costringete pure i nonni a lavorare fino a 80 anni?

0 0
Read Time:2 Minute, 51 Second

La più bella e caustica battuta sulla ministra Valeria Fedeli (e sulle sue dichiarazioni a proposito degli accompagnamenti a scuola) mi arriva da un ascoltatore di Radio24 alle sei di stamattina: “Ma la Fedeli come pensa che possano andare a prendere i nipoti, i nonni, se il suo governo li tiene forzatamente al lavoro fino a 80 anni?”.

La domanda provocatoria non pone solo un dilemma pratico, come si intuisce subito, ma evidenzia un grande problema di comprensione e di ascolto del paese che – la ormai tristemente famosa circolare sul ritorno a casa dei quattordicenni – mette sul tappeto del nostro immaginario. Questa mattina, infatti, mi è tornata in mente una celeberrima frase di Joseph Fouché, il più scaltro e intelligente dei politici francesi nell’era a cavallo tra rivoluzione francese e restaurazione, che diceva: “È peggio di un crimine, è un errore politico”. Ed in effetti, la sortita della ministra Fedeli secondo cui i bambini nell’età scolare dalla prima media alla prima liceo non potranno tornare a scuola da soli ha qualcosa dell’incredibile. Non solo per la burocratica ansia dei presidi che non vogliono responsabilità legali. Ma in primo luogo perché la ministra è riuscita nella rara impresa di far arrabbiare sia le madri che i padri, sia i figli che i nonni. Si tratta di una circolare e di una dichiarazione che non prendono atto di come funziona oggi la società italiana, dei suoi ritmi, dei suoi vincoli, delle sue abitudini, delle sue necessità.

Davvero la Fedeli si immagina questo: nonni da cartolina, che usciti da qualche spot, si recano all’uscita delle scuole italiane per fare da solerti riaccompagnatori? “Se i genitori non possono perché sono impegnati al lavoro – dice la ministra – a scuola ci vadano i nonni. I miei nipoti sono piccoli, e non ci riesco mai, ma è così piacevole per noi nonni farlo”. L’idea della Fedeli è che lei abbia da fare, mentre i nonni italiani no. E invece nelle famiglie tipo del nostro paese (quelle vere) lavorano tutti, e hanno molta difficoltà a fare le balie. I bimbi della classe dirigente hanno colf e domestiche, quelli della working class, devono tornare da soli perché altrimenti non avrebbero alternative. Ma se anche i genitori non lavorassero – e qui c’è il secondo nodo – sono gli adolescenti a reclamare il diritto al ritorno senza vincoli di tutela. A me- se mi faccio vedere davanti alla sua scuola senza un motivo – mio figlio Enrico mi sputa (giustamente) in faccia: ha i suoi spazi, i suoi amici e i suoi riti.

L’Italia unitaria monarchica e repubblicana – da De Amicis in poi – è quella delle cartelle e dei grembiuli, degli scuolabus, dell’età in cui il ritorno è un romanzo di formazione, un salto di autonomia, oltre che una necessità logistica. Non puoi fare incazzare i nonni a cui chiede di svolgere un servizio sociale sostitutivo che lo Stato non riesce a organizzare (di questo si tratta), ma che poi buonisticamente e burocraticamente vuole imporre, pretendendo che gli adolescenti restino bambini (è questa la conseguenza). E poi non ti puoi lamentare se a quarant’anni qualcuno di questi ragazzi non lavora e resta a casa dei genitori (sempre mantenuti da nonni) dove qualcuno si permette anche di dare loro dei “Bamboccioni”. Se a dodici anni non puoi tornare da solo, stai sicuro che da grande non riuscirai a mantenerti.

Luca Telese  27 ottobre 2017 ( oggiscuola.com)

print

Happy
Happy
0 %
Sad
Sad
0 %
Excited
Excited
0 %
Sleepy
Sleepy
0 %
Angry
Angry
0 %
Surprise
Surprise
0 %

Average Rating

5 Star
0%
4 Star
0%
3 Star
0%
2 Star
0%
1 Star
0%

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *