La danza di Russolillo ridiscute i concetti di identità e tradizione. Weekend a Sa Manifattura con lo spettacolo “Dov’è più profondo”

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«Siamo disposti a trattare la Tradizione, ovvero a (lasciar) trasformare questo elemento della nostra identità, affinché sia ancora e nuovamente in relazione con il mondo che ci circonda?». Da questo interrogativo muove la poetica della danzatrice e performer pugliese Irene Russolillo, ospite venerdì 21 e sabato 22 aprile di Fuorimargine-Autunno Danzaunico Centro di Produzione della Danza e delle Arti Performative in Sardegna. Appuntamento alle 21 a Sa Manifattura di Cagliari.

Russolillo, accompagnata in scena dal musicista Edoardo Sansonne|Kawabate, parte da una piccola storia, quella della comunità germanofona Walser, stanziata tra le valli al nord del Piemonte e della Valle d’Aosta; ne acquisisce forme canore e di oralità tradizionali e le riporta in scena fondendole con la poetica del suo corpo, del suono e delle immagini.

Convinta che solo dal particolare si possa comprendere meglio la complessità della Storia universale, il racconto di questa antica comunità porta alla luce su piccola scala, le grandi sfide che la società contemporanea conosce su scala planetaria: le questioni relative all’integrazione, ai separatismi, alla conservazione del paesaggio e alla trasmissione dell’identità linguistica e tradizionale, anche arcaica in alcuni casi.

Secondo l’autrice, l’identità è un concetto mobile e dinamico per sua stessa natura: dunque anche la tradizione deve esserlo. Nella performance convivono narrazioni sovrapposte, canti spogliati da una provenienza unica e pensieri sulle identità e le tradizioni, svincolati dall’ideale di purezza, per lasciare spazio all’imperfezione della mescolanza: «Un atto di invenzione è necessario perché, dal dialogo con le fonti raccolte, nasca un materiale visivo e sonoro, in grado di comunicare con un pubblico che ha una storia urbana, diversa e lontana dai paesaggi attraversati: geografie (culturali) marginali e minoritarie. Maneggiare questa materia ricca, ambigua e stratificata significa confrontarsi con i concetti di appropriazione e disappropriazione, con il senso della tradizione e con l’atto di traduzione. E l’atto di invenzione necessario perché questo discorso polifonico venga realizzato è dichiaratamente anti-filologico: nessun intento salvatore rispetto a delle partiture musicali per esempio, si tratta piuttosto di una fiamma che brucia all’ascolto di voci antiche imperfette e inafferrabili e alla vista di fotografie che vengono da lontano eppure sono in grado di farci sentire impotenti, all’atto di guardarle. Quindi mettiamo in piedi una sorta di gioco ontologico, giochiamo col DNA di queste tracce, di umani che ci hanno preceduto, impiegando tutta la delicatezza possibile».

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