Operazioni Nato, la posizione di “Potere al Popolo”

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Tra qualche giorno la Sardegna sarà ancora una volta teatro di due gigantesche esercitazioni militari della NATO: “Joint Stars 2023” e “Noble Jump 2023”. Contingenti provenienti da nove Paesi dell’Alleanza Atlantica, di stanza prevalentemente al poligono di Capo Teulada, prenderanno parte tra aprile e maggio ad una serie di iniziative che esprimono in modo concreto e visibile una precisa idea di “sviluppo”, secondo la quale i diritti di cittadine e cittadini sono completamente subordinati alle esigenze di rafforzamento del complesso militare-industriale nazionale ed internazionale.

La Sardegna, del resto, rappresenta da sempre una sede privilegiata, e persino un laboratorio per certe forme di sfruttamento: inchiodata ad una condizione permanente di colonia interna, ampie porzioni del suo territorio sono sottratte da decenni all’uso delle comunità che vi abitano, le quali, in aggiunta, sono esposte alle pesantissime ricadute ambientali delle attività che vi sono condotte (e sulle quali non è possibile alcuna forma di controllo democratico, in quanto coperte da segreto militare). Mettendo una pezza peggiore del buco, i vertici militari parlano di “positiva ricaduta economica sul territorio che la presenza di migliaia di persone assicurerà con la fornitura di pasti, servizi di lavanderia, lavori edilizi per migliorare la ricettività”, mostrando di considerare donne e uomini delle nostre comunità niente più che mansueto personale di servizio da remunerare con qualche spicciolo.

Noi di Potere al Popolo! Pensiamo che ogni sistema politico minimamente democratico dovrebbe porre al centro del proprio orizzonte ideale – come presupposti indispensabili per l’esercizio pieno dei diritti di cittadinanza – il diritto di tutte e tutti a vivere in un ambiente salubre, la cui difesa

deve contemplare ampi poteri decisionali lasciati alle comunità locali; il diritto a servizi efficienti adeguatamente finanziati, a partire da un servizio sanitario pubblico e universale e un sistema scolastico che funzioni realmente come strumento di emancipazione; il diritto ad un’esistenza dignitosa e libera dai ricatti di un mercato del lavoro a misura degli interessi padronali. La difesa di questi diritti, del resto, può passare solamente attraverso l’impiego di ingenti risorse pubbliche, in un quadro più generale di rafforzamento dell’intervento pubblico nella programmazione economica.

In un momento drammatico di crisi dei processi di valorizzazione e sfruttamento delle risorse, il sistema capitalistico ha però gettato la maschera, mostrando in concreto che i proclami neoliberisti sulle libertà e sui diritti individuali sono carta straccia, se si vuole difendere un ben preciso assetto sociale – sia a livello locale, col rafforzamento degli strumenti di controllo e repressione del dissenso, sia su scala internazionale, con un’espansione fuori controllo delle spese per la difesa.

I ceti politici italiani e sardi, in questi ultimi decenni, si sono messi completamente a disposizione di tali politiche antisociali. Senza mai proporre un’idea alternativa di sviluppo economico. Senza mai sfidare il dogma liberista del dominio del mercato sulla vita delle persone. Senza mai porre un freno alle dinamiche predatorie di un modello di sviluppo industriale e turistico che garantisse l’arricchimento di pochə.

In questi ultimi anni, con la sua inerzia, la giunta Solinas ha esemplificato in maniera drammatica il silenzio della politica di fronte alle esigenze delle sarde e dei sardi. Ma essa non ha rappresentato che un ulteriore episodio di continuità rispetto a programmi che accomunano da troppo tempo la destra e il cosiddetto centro-sinistra, sostanzialmente indistinguibili su tutte le scelte che contano davvero.

Questo rende indispensabile uno sforzo che porti all’unità e ad una sintesi programmatica tutte quelle forze politiche e della società civile che pensano che un riscatto della Sardegna possa passare solo attraverso un risarcimento alle classi lavoratrici e popolari sarde, che sono state le sole a pagare la crisi economica e le conseguenze di modelli di sviluppo devastanti.

Sono anzitutto le lavoratrici e i lavoratori, le e i disoccupatə, pensionatə, precariə sardə, ad avere pagato sulla propria pelle l’assenza di prospettive lavorative dignitose e di partecipazione politica, la repressione poliziesca, la privazione di diritti essenziali. È a loro difesa che deve costituirsi un fronte ampio di soggettività sociali in grado di proporre un’idea di Sardegna radicalmente diversa, esemplificata dallo slogan “Più ospedali! Meno militari!”: un’idea fondata sui valori dell’autonomismo municipalista, del pacifismo, dell’antirazzismo, del transfemminismo, del socialismo. Una Sardegna non più ostaggio di politiche che, pur sotto diverse maschere e simboli di partito, perseguono come unico obiettivo quello del profitto e della sopraffazione delle e dei moltə a vantaggio delle e dei (solitə) pochə.

I limiti delle strategie politiche perseguite finora sono noti, e la maturazione di una chiara consapevolezza dei limiti e delle responsabilità di alcune proposte elettorali del passato è un presupposto indispensabile alla costruzione di un riscatto politico dei ceti popolari.

La presentazione dell’ennesima lista senza alcuna riconoscibilità non sarebbe che l’ennesimo errore. Non solo strategico, ma anche politico. L’ennesimo simbolo sconosciuto verrebbe immediatamente percepito, ancora una volta, come la fusione “a freddo” di nomenklature di partito senza radicamento: uno stanco e patetico tentativo di costruzione del consenso dall’alto da parte di forze minoritarie e incapaci di innovare

le proprie proposte e il modo di comunicarle. Un errore che le donne e gli uomini che vorremmo rappresentare non possono permettersi.

Ma è un errore che la prossimità con le consultazioni politiche del settembre 2022 ci mette in condizione di non fare.

Noi militanti sardə di Potere al Popolo!, che abbiamo aderito con entusiasmo alla prospettiva di federazione che ha dato vita ad Unione Popolare (pur al netto di alcuni limiti), proponiamo pertanto di mettere quel simbolo, quel nome, e più ancora quella modalità partecipativa, a disposizione di tutte le forze che, pur da prospettive politiche e storiche differenti, intendano lavorare con noi alla definizione di un programma di riscossa delle classi subalterne della Sardegna. Non una proposta di adesione definitiva ad un progetto politico concluso, ma la declinazione a livello locale di un progetto federativo senza steccati, in cui partiti e soggettività diverse possano unirsi ed essere riconosciuti da un programma, e più ancora dall’idea che un mondo diverso e una Sardegna diversa sono possibili.

Discuteremo di questi temi, e porteremo la nostra proposta, alla tavola rotonda, organizzata da Rifondazione Comunista – Sardegna e aperta a tuttə, che si terrà il 22 aprile, alle 17:00, presso la sala della Società degli Operai del Mutuo Soccorso, in via XX settembre 80, a Cagliari.

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